Page 134 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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134 I 100 ANNI DELL’ELMETTO ITALIANO 1915 - 2015
nuovi esemplari, che vennero testati nell’aprile del 1929; i risultati furono scarsi sia in termini
balistici, che in alcuni particolari della forma.
A quel punto, la commissione esaminatrice decise di elaborare un vero e proprio bando con
un elenco di specifiche tecniche relativamente a: forma; sistema d’aerazione; spessore dell’in-
tercapedine tra il cranio e la fronte dell’elmetto (almeno 15 mm); peso (non superiore ai 1.200
grammi guarniture comprese); resistenza al tiro secondo le prove prescritte (le ammaccature
prodotte dai colpi non dovevano superare i 13 mm di profondità). Nel frattempo vennero spe-
rimentati pure alcuni esemplari prodotti dalla ditta svedese Eskilstuna. Gli esemplati pesavano
meno di un chilogrammo senza imbottitura e resistevano alle pallette di velocità di 340 m/s in
tutte le loro parti, tranne che nel bordo inferiore, a causa della minor consistenza dello spessore
presente. Le prove furono giudicate sufficienti e possibili di miglioramento, avendo di base
quasi tutti i requisiti richiesti, salvo il sistema di aerazione.
Non avendo ottenuto miglioramenti accettabili, anche a seguito di un interessamento di altri
soggetti, venne presentato un nuovo bando di concorso, più strutturato. Ad esso risposero nuove
ditte, sia italiane sia straniere, senza però migliore fortuna. A quel punto fu la stessa Ammini-
strazione militare – sperando di creare una competizione migliorativa del prodotto ricercato – a
chiedere a quelle fabbriche, che avevano meglio risposto nei manufatti realizzati, di eseguire
delle piccole forniture a scopo di valutazione pratica su scala di quanto costruito. A conclusione
di una gara d’appalto, nel 1931 il ministero della Guerra quindi assegnò alla Fiat una prima
commessa di 30 mila elmetti, mentre alla Terni e alla Smalteria Veneta di Bassano del Grappa
quantitativi più contenuti con trattativa privata. Un anno dopo però la situazione si evolse in
modo diverso da quanto ci si aspettava: Fiat e Smalteria Veneta non avevano consegnato nulla,
mentre Terni aveva depositato e presentato al collaudo un lotto di 15 mila pezzi. Si era arrivati
in circa sette anni per approssimazioni successive a un nuovo modello che, seppur non nell’ul-
tima versione desiderata, rappresentava almeno un buon punto intermedio. 216
Modello 31
Secondo un resoconto dell’epoca (che ricalcava la digressione storica dell’articolo del 1916
della Domenica del Corriere) lo studio dei modelli della Grande Guerra era stato frutto esclusi-
vo della necessità impellente di dotare ciascun esercito di una protezione per la testa:
«gli elmi dell’ultima guerra rappresentano tutti soluzioni prese in fretta, sotto l’incubo
dell’impressionante numero di feriti al capo che i sanitari dei vari eserciti segnalavano nei primi
mesi di guerra. [Pertanto…] accurati e lunghi studi hanno oggi indotto l’Italia ad adottare un
nuovo elmo tutto di acciaio che, per esser stato sottoposto a speciale procedimento di tempera,
di stampaggio e di rinvenimento e per aver eliminato tutte le zone di minor resistenza esistenti
nelle varie piegature degli elmetti precedenti, dà garanzia di sicura protezione contro le pallette
di shrapnel ad altezza normale di scoppio e contro le schegge ed i proiettili di rimbalzo. La
superficie del capo protetta dal nuovo elmetto è limitata allo stretto indispensabile per non ac-
crescere soverchiamente il peso: la resistenza però offerta dalla lamiera è circa tripla di quella
dell’elmetto precedente. La forma ricorda molto il casco dei legionari romani dei tempi di Ca-
millo (IV sec. a.C.)». 217
216 F. Cappellano-L. Pierallini, L’elmetto mod. 33, op. cit., pp. 4-7
217 P. Cinsi, Le armi difensive. I – Le armi difensive del capo, in «Esercito e Nazione», Agosto-Settembre 1933,
p. 626.

