Page 157 - Lanzarotto Malocello from Italy to the Canary Islands
P. 157

dall’Italia alle Canarie                                              157



               un urlo prima ancora che per tutti per sé medesimo: la richiesta di identità.
               L’annunciarsi. Ma torniamo al navigatore: le sue mire pratiche, il suo pro-
               fitto, ebbene, tutte queste idee non ci convincono pienamente. Vi dev’esse-
               re dell’altro: v’è dell’altro.
                  Nel porsi come “antagonista” dell’oceano, nel mettersi per mare an-
               dando necessariamente incontro a rischi, a pericoli, non ultima la messa
               in gioco della vita, e poi i progetti, le conquiste, le acquisizioni non ci
               paiono elementi sufficienti. Costui parlerà di orizzonti a seconda delle fasi
               del giorno (alba, mattino, pomeriggio, sera, notte) e dunque li attraverserà,
               li scruterà da esperto, confortato in questo da periti con strumentazione
               adeguata, ma nei momenti di quiete, quando senza vento la nave a fatica
               scivolerà sull’acqua, ecco che dagli orizzonti egli (riflettendo in silenzio,
               da solo, nel suo scrigno sottocoperta) passerà disinvoltamente con i suoi
               pensieri alla parola “orizzonte”. In un certo senso retrocederà, ma forse si
               tratterà di una avanzata, di un procedere anche se si è discesi al singolare.
                  Orizzonte.
                  Perché cos’altro è, nella sua essenza, quel suo mettersi in mare? Nei
               libri di Storia si narra di fatti e dunque il navigatore avrà la sua nicchia
               nella quale risulterà chiara la sua traiettoria di nascita e morte e poi le sue
               azioni; non potrà esservi nessun elemento escatologico che invece troverà
               accoglimento nei testi di Filosofia dell’Essere o in una più specifica Filo-
               sofia dell’Uomo.
                  Per placare il suo desiderio di ignoto e di assoluto l’uomo agisce, si
               mette per mare o per altra impresa e affronta l’inconoscibile; vorremmo
               sempre tenerla a mente questa componente metafisica altrimenti tutto ci
               apparirebbe come gara, lotta, aspirazione di grandezza, vanità. Sappiamo
               che non è soltanto questo ed è giusto anche nella scrittura possedere una
               luce che doni chiarore ai fatti.
                  Già, la luce.
                  Parlavamo della grande dote della civetta di penetrare il buio e aprirsi
               con i suoi fari dei varchi nella notte. La civetta è come un faro che scruta,
               assorbe dati e agisce: un lavoro tutto per sé a ben vedere vivere e difen-
               dersi, ma non è già stupore che essa debba apparire al buio e declinarsi
               proprio di notte? Sarà anche della civetta quella distinzione tra orizzonte
               e orizzonti? La civetta ha la sua importanza nella nostra trattazione; non
               l’abbiamo chiamata in scena perché possiede la qualità, la “stravaganza” di
               essere animale notturno e noi la si è accostata, come immagine, ad un faro
               che fa luce sul mistero.
   152   153   154   155   156   157   158   159   160   161   162