Page 313 - Lanzarotto Malocello from Italy to the Canary Islands
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dall’Italia alle Canarie                                              313



               più caldo, in seguito a tale meditazione, il desiderio del cielo…Questo, e
               chi non l’ha provato non può capirlo, è uno dei frutti, e non certo l’ultimo,
               della vita solitaria. Frattanto, per non tacere di cose più note, dedicarsi alla
               scrittura e alla lettura, e, stanco dell’una, ricercare nell’altra ristoro; legge-
               re ciò che scrissero gli antichi, scrivere ciò che leggeranno i posteri, e per
               il dono della scrittura e dell’arte letteraria ricevuto dagli antichi mostrare
               ai posteri, poiché agli antichi non possiamo mostrarlo, un animo memore
               e grato; ma anche verso gli antichi, non mostrarci ingrati, per quanto ci è
               possibile, ma rendere noti i loro nomi, se sconosciuti, se sono caduti in
               oblio farli ritornare in onore, trarli alla luce se sono sepolti tra le macerie
               del tempo, e trasmetterli come degni di venerazione ai pronipoti tutti; aver-
               li nel cuore, e sempre sulle labbra come una dolce cosa, e infine, amandoli,
               ricordandoli, celebrandoli, rendere loro un tributo di riconoscenza, se non
               pienamente adeguato, certo dovuto ai loro meriti.”



                  Il grande scenario  De  vita  solitaria è un ininterrotto  colloquio con
               quanti in tempi antichi si distinsero per grandezza. Il Poeta ricerca tutti
               coloro che possono sostenerlo e la scelta va per l’appunto agli antichi, a
               quelli che si segnalarono per equilibrio, giustizia, valore e che egli scor-
               ge come veri compagni nelle ore di solitudine e di quell’ozio comunque
               fruttuoso. Il tentativo del Poeta è di arginare il crudele lavoro del tempo e
               così tentare di ostacolare quel progetto che proprio il tempo reca con sé,
               vale a dire l’accumulo dei secoli su secoli e dunque l’avvento dell’oblio, la
               dimenticanza di tutto quanto è avvenuto di grande, di quanto s’è bagnato di
               universale. Naturalmente nel De vita solitaria v’è posto anche per le Isole
               Fortunate; esse vengono collocate alquanto vicine a noi, in un Occidente
               estremo eppure prossimo.
                  A proposito delle Isole Fortunate, il giudizio che il Petrarca osa sugli
               abitatori non è molto lusinghiero e il paragone che egli pone è con gli abi-
               tatori iperborei che vivono felici e in solitudine (ancora una volta la solitu-
               dine posta come valore). Ma sentiamo il Poeta in un passo dell’undicesimo
               capitolo del De vita solitaria: “Hic ad occasum versus transeo philosophos
               gallorum, quorum inter scriptores crebra mentio – druidas dixere – solitos
               in specubus ac remotis in saltibus docere nobilissimos gentis sapientiam
               atque facundiam, et naturas rerum, et siderum motus, et deorum arca-
               na, et immortalitatem animarum et alterius vite statum. Transeo Thilem et
               Hibernem, quorum altera scribentium variegate famosissima sed ignota
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