Page 120 - La rappresentazione della Grande Guerra nel concorso della Regina Elena del 1934
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            GIOVANNI RANDACCIO

            Torino, 1884 – Monfalcone, Trieste, 28 maggio 1917

            Completati gli studi a Vercelli, il giovane Randaccio fu ammesso alla Scuola Militare di Modena. Allo scoppio della guerra,
            con il grado di tenente del 63° Reggimento della Brigata Cagliari combatté sul Monte Sei Busi nel corso della prima offensiva
            dell’Isonzo. Qui ottenne la Medaglia d’Argento al valor militare dando prova di grande coraggio e intraprendenza, assumendo
            il comando degli uomini di un’altra compagnia rimasta senza ufficiali.  Nell’ottobre dello stesso anno, benché ferito due
            volte nei combattimenti sull’altura di Polazzo nel Carso, rimase al suo posto continuando a incoraggiare i compagni e fu de-
            corato la sua seconda Medaglia d’Argento. Per le conseguenze delle gravi ferite riportate fu dichiarato inabile, ma come uf-
            ficiale di collegamento poté tuttavia tornare sulla linea del fuoco con il 77° Reggimento della Brigata Toscana, dove in quel
            momento prestava servizio Gabriele D’Annunzio, con cui nacque una profonda amicizia. Nell’ottobre 1916, la Brigata par-
            tecipò all’attacco e alla conquista del Veliki Kribak, una propaggine del San Gabriele sulla cui cima D’Annunzio piantò il tri-
            colore che Giovanni Randaccio aveva portato con sé. L’immagine del giovane capitano alla testa dei suoi uomini avvolto nel
            tricolore, seguito dal Vate, fu immortalata nella copertina del 16 novembre della Domenica del Corriere. Per questa azione
            ottenne la sua terza Medaglia d’Argento e la promozione a maggiore per meriti di guerra. Nel corso della decima battaglia
            dell’Isonzo il comando della 3^ Armata fece proprio l’audace progetto di D’Annunzio di raggiungere il castello di Duino,
            visibile da Trieste, e issarvi un grande tricolore. Così, il 28 maggio 1917, Giovanni Randaccio si portò con i suoi uomini
            oltre il fiume Timavo per conquistare le trincee nemiche e muovere verso Duino. Tuttavia, un violento contrattacco travolse
            i valorosi uomini del 77°, costringendoli a ripiegare verso il fiume. Lo stesso Randaccio fu gravemente ferito e trasportato
            all’ospedale da campo n. 57 di Cervignano, dove morì dopo una lunga agonia. Sulla morte del valoroso combattente, definito
            da D’Annunzio di “un coraggio leonino” esistono due versioni diverse e fra loro contrastanti. Quella ufficiale, suffragata
            anche dalla motivazione della Medaglia d’Oro, afferma che Randaccio fu colpito nel corso dell’assalto sulla sponda sinistra
            del Timavo, l’altra, sostenuta da testimoni presenti, asserisce invece che fosse stato ferito a morte sulla riva destra del fiume
            mentre coordinava l’invio di nuovi rinforzi. Il suo corpo, avvolto in un tricolore, fu poi portato nel Cimitero degli Eroi di
            Aquileia, dove tuttora riposa.






            MONTE HERMADA, 28 MAGGIO 1917, DECIMA OFFENSIVA DELL’ISONZO

            “Amato dal pericolo, egli era promesso alla morte”


            Il piano messo a punto dal comando della Brigata Toscana prevedeva che fossero predisposte tre passerelle per superare il
            Timavo nella zona della foce, raggiungendo la sponda sinistra, per poi conquistare Quota 28 del Monte Hermada e avanzare
            verso il Castello di Duino. Nelle prime ore del 28 maggio era stato approntato solo un instabile ponticello sulle acque tu-
            multuose del fiume. Inizialmente l’attacco di sorpresa sembrò potesse riuscire: gli uomini del 77° Reggimento, insieme ad
            alcune unità della Brigata Trapani, raggiunta la riva sinistra iniziarono a procedere in silenzio verso Quota 28 grazie a un
            varco aperto nei reticolati. Giunti sulla cima della collina furono però avvistati da una pattuglia austriaca che diede l’allarme.
            La reazione nemica con lancio di bombe a mano e con il fuoco delle mitragliatrici fu violentissima. Divenne allora urgente
            poter ricevere rinforzi per mantenere le posizioni conquistate, ma le acque del Timavo avevano trascinato via l’unico colle-
            gamento tra le due sponde, lasciando così isolati i reparti italiani che furono accerchiati e fatti prigionieri. Solo una parte dei
            militari del 77° cercò la salvezza guadando il fiume, ma i più furono travolti e morirono annegati. Nell’aspro scontro la
            Brigata Toscana perdette oltre 2000 uomini di cui 75 ufficiali.
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