Page 12 - Airpower in 20th Century - Doctrines and Employment
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            così evidenza che, nella situazione politica generatasi dopo la caduta del muro di
            Berlino, gli obiettivi politici di una missione militare si potevano conseguire solo
            con il concorso delle varie componenti dello strumento militare, in tempi e con mo-
            dalità diverse, ma in forma assolutamente coordinata e convergente.
               Venne poi l’Afghanistan, ambiente operativo assai peculiare, in cui le cose si sono
            andate complicando con il passare del tempo, dopo il fulmineo successo iniziale che
            ha permesso di spazzare il governo del Mullah Omar, senza sforzi eccessivi. Le ope-
            razioni, prima nel solo quadro di Enduring Freedom e poi con l’intervento NATO e
            l’avvio di ISAF, si sono sviluppate in un quadro essenzialmente, per non dire quasi
            esclusivamente terrestre, con interventi delle forze aeree in un ruolo quasi esclusivo
            di trasporto logistico, di ricognizione e di close air support, condotto anche con mez-
            zi non concepiti per tale ruolo, come il B1-B, e spesso solo nella modalità ‘show the
            presence’, al fine di minimizzare i rischi di colpire civili innocenti. Qualcuno ne ha
            tratto la deduzione che nell’attuale quadro strategico, caratterizzato prevalentemente
            da operazioni di peace keeping/enforcement, il ruolo delle forze terrestri sia diven-
            tato assolutamente dominante, con le altre componenti ridotte ad un ruolo di mero
            supporto, ma dimenticando che anche in Afghanistan le truppe di terra godono di
            libertà di movimento solo perché la coalizione gode di un dominio dell’aria assoluto,
            dominio che può essere conseguito e mantenuto solo dalla disponibilità di un’ade-
            guata, per qualità e quantità, disponibilità di mezzi aerei delle varie tipologie.
               E siamo oggi alla Libia. La coalizione ha deciso fin dall’inizio che sarebbe inter-
            venuta solo con mezzi aerei e che non avrebbe messo ‘boots on the ground’, convinta
            di riprodurre la fase iniziale della vicenda kosovara, confidando che le forze ribelli
            avrebbero svolto agevolmente il ruolo sostenuto a suo tempo dalle milizie kosovaro-
            albanesi e che, visti gli sviluppi delle pressoché contemporanee vicende in Egitto
            e in Tunisia, i tempi sarebbero stati assai rapidi. Ci sono stati evidentemente degli
            errori di valutazione, sia circa le peculiarità della situazione libica rispetto a quelle
            dei paesi confinanti, sia soprattutto circa le effettive capacità degli insorti: questi,
            lungi dal costituire una reale minaccia per le forze regolari lealiste, hanno evidenzia-
            to un’iniziale assoluta incapacità operativa, il che ha reso necessario un prolungarsi
            della campagna aerea, che peraltro non è mai stata martellante, al fine di dare tempo
            alle forze dell’insorgenza di costituirsi, organizzarsi, addestrarsi al fine di dare con-
            sistenza alla propria azione.
               Quali conclusioni possiamo trarre da tutte queste vicende? Molto semplicemente
            che nessun obiettivo politico potrà essere conseguito da un’azione militare, qualsiasi
            tipo di quadro strategico si voglia considerare, se non si dispone di un complesso
            armonico ed equilibrato di capacità in tutte le dimensioni operative. Non solo, ma la
            varietà delle situazioni può essere tale da richiedere la disponibilità pronta ed effica-
            ce di unità atte ad operare in tutto il possibile spettro delle operazioni: per rimanere
            sul terreno, nessuno si illuda di potere rinunciare alle componenti corazzate e di ar-
            tiglieria pesante senza correre rischi inaccettabili di constatare la propria impotenza
            di fronte a situazioni che ne richiedono l’impiego.
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