Page 349 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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Conclusioni
lla fine della narrazione dei contesti storici, della descrizione dei vari modelli e dei re-
lativi distribuzione e uso, la presente analisi propone diversi piani di lettura. Apparen-
A temente destinata ad affrontare uno specifico corredo militare, in realtà la storia degli
elmetti offre l’occasione per analizzare almeno altri due particolari molto rilevanti della recente
vita militare del Paese: l’aspetto economico-industriale e quello logistico-amministrativo.
Partiamo però dall’aspetto simbolico-patriottico, non potendo che condividere a pieno quan-
to scritto ormai quindici anni fa da un attento Gerardo Severino, attuale direttore del Museo sto-
rico della Guardia di Finanza: «Dalla fine della Grande Guerra ad oggi, in ognuno di noi, anche
fra i non appassionati di uniformologia o di storia patria, quello strano elmetto con la piccola
cresta, passato alla tradizione col nome di modello Adrian, non può che farci tornare alla mente
per l’appunto la prima guerra mondiale, nel corso della quale quel copricapo venne usato anche
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dalle nostre forze armate». Se nell’immaginario collettivo l’elmetto Adrian rappresenta quin-
di la quintessenza della Grande Guerra e il modello 33 quella del Secondo conflitto mondiale, il
fatto che il loro rispettivo uso sia durato molto più della propria logica vita è un esempio della
profonda capacità di adattamento delle Forze Armate nazionali. Impegnate in scenari operativi
difficili, senza un apparato industriale sempre all’altezza, i militari italiani si sono trovati spesso
nella situazione di dover sopperire alla frequente impreparazione politico-economica naziona-
le. Dal deserto africano alla steppa russa, passando per gli impervi crinali alpini, l’iniziativa
personale ha sopperito ai ricorrenti limiti del cosiddetto sistema-paese.
In questi 100 anni molto è cambiato, ma non è utile, né giusto stigmatizzare solo le differen-
ze. Lo sguardo al futuro non implica dimenticare il passato. Partendo dagli albori dell’elmetto
contemporaneo, è comunque rintracciabile un filo rosso, che unisce il militare di ieri da quello
ormai di domani. Oggi, come un secolo fa, il soldato italiano si presenta all’appuntamento
operativo, in luogo a rischio, con un copricapo protettivo e un panciotto corazzato. La dottrina
e l’impiego sono agli antipodi, rispetto all’inizio di questa storia, ma per fortuna un certo buon-
senso rimane. Nel 1915, l’Italia seppe fare una scelta importante – forse dettata dall’emergen-
za – capendo che la cooperazione trasversale era fondamentale. Gli scomodi e pesanti Farina
non erano adatti a un esercito di milioni di coscritti, mentre le velleitarie idee di introdurre un
elmetto da centurione romano o una piastra facciale lasciavano il tempo che trovavano. E’ così
che il Comando Supremo, non avendo altra scelta, comprò dunque gli Adrian dall’alleata Fran-
cia, perché in quel momento era il miglior manufatto tecnologico sul mercato! Poi, anche se
con risultati inferiori, lo si iniziò a produrre in concessione anche a Milano. Per non parlare del
singolare Piano di ricerca, portato avanti in proprio dal tenente colonnello Lala alla fine degli
anni Trenta, per trovare un copricapo metallico da volo. Vi erano già le primitive premesse per
il sistema odierno di sviluppo e approvvigionamento!
L’attuale situazione, dove la qualità di una piccola aliquota di professionisti ha superato in
efficacia la grande massa di coscritti, permette una migliore razionalizzazione delle spese e del-
le forniture militari. Se si pensa che cento anni fa il solo Corpo dei bersaglieri era più del doppio
dell’attuale contingente complessivo della Forza Armata di terra, capiamo l’estrema necessità
di spendere nel miglior modo per la qualità dell’armamento e dell’equipaggiamento individuale
521 G. Severino, op. cit., p. 30.

