Page 351 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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CONCLUSIONI                                          351


               nazionale è poco sensibile ad argomenti come questi, in cui la politica degli armamenti è vista
               come cespite da tagliare, se non oggetto di polemiche su una possibile deriva militarista o guer-
               rafondaia del Paese.
                  In un contesto globale, come quello attuale, dove il Mediterraneo centro-orientale è una pol-
               veriera accesa, non è possibile ignorare il tema della sicurezza individuale o sovranazionale. La
               politica degli struzzi (come pure quella dell’iperattivismo) ha generato grandi sciagure e ancora
               ne paghiamo gravide conseguenze. Del resto molti degli scenari bellici di cento anni fa sono
               grosso modo gli stessi di oggi, ancora più drammatici, viste le nuove poste in gioco espresse
               in senso economico e tecnologico. E’ sicuramente più auspicabile «fare l’amore e non fare la
               guerra» come si soleva dire all’epoca del Vietnam, ma con le crisi russo-ucraina, siro-irachena
               e israelo-palestinese è molto difficile tentare di mettere fiori in altrettanti cannoni.
                  L’elmetto (possibilmente blu), come indispensabile oggetto di difesa, rappresenta ancora
               l’oggetto migliore per proteggere la testa di chi cerca di negoziare e raggiungere la pace, dove
               essa è assente o a rischio. L’importante è avere il cervello per volerlo e… farlo!

                  Parlando infine di pacifismo, si può annotare un fatto personale, ma che è indicativo di
               quale valore simbolico possa avere un elmetto e nello specifico il nostrano 33. Alcuni anni fa
               venni contattato dalla fondazione culturale Bevilacqua La Masa di Venezia, interessata alla
               realizzazione di un’opera per un’artista americana. Mi chiesero venticinque elmetti. In pochi
               giorni, insieme all’amico Roberto Piergentili, inviai nel capoluogo veneto un lotto di modello
               33 postbellici, come richiesto dal basso valore commerciale e collezionistico, ormai alienati da
               lustri. Ebbene poi venimmo a scoprire che quei copricapi metallici erano divenuti un’acclamata
               opera pacifista, nientemeno di Yoko Ono Lennon! Ogni copricapo rivoltato e sospeso al soffitto
               racchiudeva pezzi di puzzle, raffigurante un candido cielo. Ogni elmetto rappresentava il volto
               di un soldato ucciso, che guardava speranzoso il destino azzurro dell’umanità.
                  Nonostante l’audace accostamento artistico dell’attivista nippo-statunitense, a conclusione
               di questo volume, si può auspicare che gli elmetti possano essere sempre più lo strumento
               adatto a salvare le vite umane. Solo aiutando gli effettivi contingenti di pace a risolvere le con-
               troversie internazionali, i copricapi metallici onorerebbero la memoria dei milioni di morti, la
               cui unica speranza era vivere in serenità. Solo qualche pazzo sanguinario potrebbe auspicare
               di nuovo per gli elmetti il tetro ruolo di sommità per croci bianche, in un cimitero ricco di vite
               prematuramente spezzate, solo per richiamare alla memoria i leggendari fasti di miti passati, da
               reincarnare in superuomini dal destino millenario.
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