Page 350 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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               o collettivo. Non a caso la ristrettezza dei bilanci, in fatto di politica di difesa, spesso condizio-
               na anche oggi la piena efficienza finanziaria. Non di meno, il militare impiegato in missione
               può contare su equipaggiamenti all’altezza delle consegne affidate, anche perché gli standard
               NATO tendono a rendere omogenei – tra gli Stati aderenti – gli ultimi ritrovati della tecnica.
                  Esaminata l’eclettica successione di modelli e prototipi impiegati dalle Forze Armate ita-
               liane, è sin troppo ovvio affermare che l’evoluzione tecnologica delle armi e delle attrezzature
               militari non solo ha evitato di mandare in soffitta l’elmetto, ma ne ha certificato una rinnovata
               vitalità. Negli anni la necessità di rifornire di preferenza le unità d’élite (genieri, paracadutisti,
               incursori, etc.) ha saputo infatti coniugare una protezione generalizzata e quindi l’opportunità di
               seguire spesso l’evoluzione della moda e quella del pensiero nelle sue forme espressive.
                    L’era atomica non ha in questo senso mutato molto, rispetto ad alcune caratteristiche sentite
               durante le guerre mondiali. L’inderogabile necessità di preservare la testa del soldato da qualsi-
               asi agente esterno si è andata infatti integrando con funzioni innovative, come quelle di accre-
               scere alcuni sensi umani (vista, udito, parola). Le nuove forme di guerriglia in centri abitati o in
               impervi scenari geografici, la guerra asimmetrica dove la sola forza non è sufficiente, la sempre
               più informatizzata lotta al terrorismo sono tutti fattori che comportano ancora il potenziamento
               della protezione individuale. Essa viene declinata come sistema integrato di comunicazione,
               scambio di dati e costante interdipendenza operativa con livelli gerarchici orizzontali e vertica-
               li, che essi siano a pochi metri o in un altro emisfero.
               L’Italia, collocata ormai da circa sessanta anni, all’interno dell’Alleanza atlantica e delle Nazio-
               ni Unite, oltre che membro fondatore della progressiva difesa integrata europea, ha la necessità
               di adeguare con costanza le proprie dotazioni, elmetti compresi. Del resto – come è emerso sin
               troppo chiaramente nella presentazione del nuovo stemma araldico dell’Esercito – il ministro
               Roberta Pinotti e il generale Claudio Graziano hanno sintetizzato il valore di ponderatezza,
               rigore e ingegno che l’elmo vuol rappresentare anche simbolicamente. Avendo poi il relativo
               dicastero perso l’appellativo di Guerra per quello di Difesa, il ministro Pinotti ha aggiunto che
               la priorità è «proteggere e non attaccare». 522
                  Sono dunque passati esattamente cento anni da quanto i primi fanti calzarono per la prima
               volta un contemporaneo copricapo metallico. L’Adrian (nelle sue diverse varianti) ha segnato
               oltre venti anni della storia patria, rimanendo legato di massima ai sacrifici della Grande Guerra
               e alla relativa Vittoria, mentre il modello 33 ha saputo traghettare le Forze Armate nazionali
               dall’epoca fascista a quella democratica repubblicana. Rimasto dal 1946 alla vigilia del nuovo
               millennio un corredo utilizzato per parate ed esercitazioni, divenne negli ultimi venti anni del
               Novecento un fondamentale corredo del soldato impegnato in missioni di pace oltremare. Nel
               frattempo, le varie versioni dell’elmetto in fibra hanno progressivamente affermato la necessità
               di sostituire il pesante e non sempre elastico acciaio con strati di prodotti chimici, relativamente
               leggeri e caratterizzati da precise funzioni balistiche.
                  Nonostante ciò, la tradizione lascia il proprio segno e al fianco dei futuristici caschi protettivi
               rimangono i simboli di alcuni corpi, come la penna per le truppe da montagna o le piume dei
               bersaglieri. In questo si evince quindi quel legame ideale, che a distanza di cento anni ancora
               esiste tra il cittadino coscritto sul Carso e quello professionista, che opera oggi in Afghanistan
               o in Libano.
                  Di fronte a queste considerazioni, è tuttavia amaro registrare come molto spesso la cultura




               522 Biblioteca centrale militare, Ministero della Difesa, Roma 25 settembre 2014.
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