Page 89 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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ANNI VENTI 89
L’elmetto della Vittoria
n noto aforisma sportivo afferma: «squadra che vince non si cambia». Pertanto il
Regio Esercito del 1919 non trovò migliore soluzione che mantenere all’indomani
U della conclusione delle ostilità quasi inalterata l’uniforme della Vittoria, elmetto com-
preso. Non mancarono certo gli studi, per riportare la sola tenuta da combattimento ad una più
mondana, ma molte ragioni limitarono gli effetti di queste proposte. Nonostante l’intercorso
armistizio, le industrie non si erano fermate nel produrre per il mercato della guerra, solo per-
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ché non si era attesa con queste tempistiche la sospensione del conflitto. Ciò non voleva però
dare giustificazione a sprechi, in un Paese che avrebbe attraversato negli anni a seguire una crisi
sociale ed economica di primo piano.
L’11 giugno 1919 sarà il generale Giuseppe Vaccari, allora capo di Stato Maggiore della 3ª
Armata, a rammentare l’economia per un esercito ancora da smobilitare. Fece una sonora lavata
di testa a tutti i comandi dipendenti per l’ingiustificato consumo di elmetti, a decorrere dall’av-
venuta cessazione delle ostilità. Si trovò sdegnato alla notizia che l’Intendenza d’Armata aveva
dovuto distribuire – perché richiesti – ben 43 mila copricapi metallici tra il 12 dicembre 1918 e
il 28 maggio seguente, oltre a dover richiedere altri 10 mila dopo tale ultima data. Il generale si
domandò dunque quali necessità fossero (senza necessità di combattere) alla base di così tanta
ingiustificata richiesta. La risposta non poteva che essere l’incuria; pertanto Vaccari ordinò
«provvedimenti di esemplare rigore» a tutti i futuri contravventori. 154
L’annoso problema poi dei costi da sostenere, sia per l’amministrazione militare sia per i
sottufficiali e gli ufficiali di carriera, diveniva un grosso limite alle ventilate migliorie estetiche.
Molto si sarebbe disquisito sulla tonalità grigio o grigio-verde delle stoffe ordinarie, come sul
colore scuro di quelle costose da società, ormai abolite da anni e quasi impossibili da recuperare
dalle soffitte per chi le aveva indossate, magari da giovane e snello tenentino. Non senza dub-
bi, la circolare 441 del 20 agosto 1919 ripristinò la grande uniforme, elevando la grigio-verde
a questo scopo. Sotto le armi e cioè in servizio armato in comando di truppa, sia il berretto
che i copricapi speciali venivano sostituiti dall’ormai onnipresente elmetto. Tale disposizione
però non venne presa molto sul serio dalla quasi totalità degli ufficiali dei corpi provvisti dei
copricapi speciali, che continuarono a portare invece questi ultimi. Decisione in linea con
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la tradizione fu quella che ripristinò, per i generali e i colonnelli titolari, il pennacchio d’airo-
ne bianco (detto aigrette) per tutti i loro copricapi, quindi anche per gli elmetti. Esso, abolito
durante la guerra, venne posto sul lato sinistro dei copricapi metallici, innestato grazie ad una
nappina ornata di tulipa: una sorta di piccolo imbuto formato da quatto foglie sbalzate, di colore
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oro o argento secondo le metallerie. Molto spesso questo supporto era fissato direttamente
al ricercato grado sbalzato in metallo, che decorava all’alpina il lato dell’elmetto degli ufficiali
più facoltosi.
153 A. Viotti, Uniformi e distintivi dell’Esercito italiano fra le due guerre 1918-1935, op. cit., tomo I, p. 71.
154 Circolare dell’11/6/1919 di Vaccari (Comado della 3ª Armata. Stato Maggiore).
155 A. Viotti, Uniformi e distintivi dell’Esercito italiano fra le due guerre 1918-1935, op. cit., tomo I, pp. 75, 77.
156 Ibidem; R. Manno, Il segno del comando, in «Militaria», n. 8, marzo 1994, pp. 43-49.

