Page 165 - Il Controllo del Territorio - da Federico II di Svevia all'Arma dei Carabinieri
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Di certo, sul finire del XII secolo, una discreta bale-
               stra manesca forniva una gittata utile di circa 100 metri,
               con una cadenza di tiro di due o tre verrettoni al minuto,
               capaci, per la loro eccezionale forza di penetrazione, di tra-
               passare in quel raggio una buona corazza. Prestazioni del
               genere determinarono nelle fortificazioni coeve, quale cri-
               terio difensivo prioritario, la riscoperta e l’esaltazione del
               tiro di fiancheggiamento, e i tecnici di Federico, perfetta-
               mente consapevoli di tale efficace opportunità, ne accen-
               tuarono al massimo lo sfruttamento dimensionando sulle
               sue potenzialità i loro castelli. In un paio di essi, addirit-
               tura, tra quelli ancora sicuramente leggibili, si riscopre un
               impianto planimetrico talmente sofisticato da eliminare
               qualsiasi settore defilato: per la rilevanza ne esamineremo
               più avanti in dettaglio le caratteristiche.
                  Sebbene il castello non più feudale ma demaniale, nella
               concezione federiciana, costituiva un’opera militare dalla
               precisa valenza tattica per il controllo del territorio, tutta-
               via di concerto con i tanti similari, disposti secondo una
               precisa rete, finiva per perseguire mire strategiche, coope-
               rando in caso di necessità alla difesa dell’integrità nazio-
               nale. Anche in questa impostazione si ravvisa l’adozione
               del modello imperiale romano, secondo il quale tutto ciò
               che è militare, o attinente alle esigenze militari, appartiene
               e compete allo Stato e da questo viene gestito magari pure
               con l’apporto dei civili, ma senza alcuna confusione di ruo-
               li e prestazioni. Implicitamente inizia a distinguersi, dopo
               la grande confusione altomedievale, una netta distinzione
               fra tempo di guerra e tempo di pace, col proficuo supera-
               mento dell’anarchia feudale e la riaffermazione di certezze
               sociali. Mentre l’articolazione interna delle abazie insisteva
               sul recupero della cultura nel loro scriptorium, nei castelli
               federiciani, invece, essa insisteva come detto, sul recupero
               delle armi telecinetiche manesche e da posta, anche queste
               mitico retaggio legionario. Consapevoli delle loro presta-
               zioni (in special modo dell’opportunità che consentivano
               al tiratore di attendere con l’arma carica, appostata dietro
               una sottile feritoia, il rapido passaggio nel settore di tiro di
               un nemico per scoccargli contro una fulmina saetta, senza
               alcuno stress per mantenere l’arma pronta al tiro tenden-
               done la corda come avveniva nell’arco) moltiplicarono le
               basse feritoie destinate al tiro radente di fiancheggiamento


               Nella pagina a fianco: l’interno di una cattedrale del XII sec., caratteriz-
               zata dall’utilizzo di archi a sesto acuto.
               In questa pagina: sopra, una feritoia vista dall’esterno; sotto, vista
               dall’interno.
               Nelle pagine seguenti: ricostruzioni virtuali dell’evoluzione dalla merla-
               tura all’apparato a sporgere, prima in legno quindi in muratura.




                                                                parte quinta - i castelli federiciani e il controllo del territorio      161
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