Page 69 - Lanzarotto Malocello from Italy to the Canary Islands
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tato un “Museo” oppure offre i suoi saloni ad un “Assessorato”, non fa
nulla, e si possono ancora respirare antichi conflitti, e poi speranze e poi
inganni, illusioni.
Vi era il mare al primo posto. Il mare donava ricchezza e al tempo
stesso innalzava il senso dell’avventura; ma per giungere a destinazione, il
mare bisognava attraversarlo e, in un certo senso, domarlo. E l’avventura
si estrinsecava proprio in questo “corpo a corpo” con il mare. Ogni viag-
gio rappresentava non soltanto fatica, ma poneva continuamente l’uomo di
fronte alla morte. In quello scenario non era da temere soltanto il nemico
con i suoi agguati ma anche l’imprevedibile sequenza di fatti che il mare
contemplava in tutto il suo essere. Proprio nel mare le forze della natura
parevano essersi raccolte in una sintesi spettacolare: tempesta, onde gigan-
tesche, le varie gerarchie del vento. Giunti a destino, un’altra pagina della
propria esistenza la si poteva scrivere, e questo era vero dall’ammiraglio
al mozzo.
Dante Alighieri mosse alla Commedia attorno al 1300. Pure, sembra
fatto accertato, che notizie di copie manoscritte della cantica dell’Inferno
circolavano verso il 1313, ovvero attorno alla data in cui, presumibilmen-
te, Lanzarotto Malocello si mise in viaggio, in cui allestì il suo viaggio.
Quest’ultimo fatto sembra dare sostegno ad un nostro sogno (lo ribadiamo,
quando v’è scarsità di notizie il sublime sembra possa spuntare da ogni
parte), vale a dire che Lanzarotto Malocello potesse aver avuto notizia di
quella Cantica, ovvero che si fosse imbattuto in quel XXVI canto in cui la
creazione (il sogno!) del Poeta assegna ad Ulisse il folle volo oltre le Co-
lonne d’Ercole. Ma ascoltiamo Ulisse nelle parole di Dante: (…)
ma misi me per l’alto mare aperto,
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi, infin la Spagna,
fin nel Marocco, e l’isola dei Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e i compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercole segnò li suoi riguardi
a ciò che l’uom più oltre non si metta.
Da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
‘O frati – dissi – che per cento milia

