Page 19 - Airpower in 20th Century - Doctrines and Employment
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IntroduzIone • AvIAzIone e superIorItà tecnologIcA trA nuovI conflIttI e dIplomAzIA
decina di uomini al loro servizio». Già in Algeria e Indocina, negli anni ’50 e ’60
si era vista la «crescente incapacità dei popoli dell’Occidente di fare i conti con la
dimensione della fatica fisica, del sacrificio ed infine della morte, che invece è pro-
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pria delle società pre-industriali» . In Vietnam, soldati americani ipernutriti e super
equipaggiati, bombardamenti al napalm, sensori lanciati nelle foreste, non riuscirono
ad eliminare i vietcong, che vivevano con un pugno di riso, s’infiltravano attraverso
il «sentiero di Ho Chi Minh» e, a differenza degli americani, erano convinti della
giustezza della loro causa. Si era già allora manifestata la dicotomia tra la guerra
tecnologica dell’Occidente, che vuole minimizzare i rischi per i propri uomini in
divisa, e le guerre «sporche» delle tribù, delle etnie e dei gruppi politici e religiosi
dell’«altro mondo» (che può essere anche in Europa, vedi Bosnia e Kosovo!), dove
la vita umana conta poco e viene spesa con facilità al servizio dei propri valori o
interessi, la mina antiuomo, il kalashnikov o persino il machete dominano ancora il
campo di battaglia.
La prima guerra del Golfo (1991), gli interventi della NATO in Bosnia (1994),
Kosovo (1999) e Libia (2011) hanno riproposto il problema, già dibattuto dopo la
Seconda Guerra Mondiale , se un conflitto possa essere vinto solo con l’aviazio-
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ne. Valutando ad esempio la campagna per il Kosovo, storici militari (come John
Keegan), esperti di studi strategici (come John Chipman) e lo stesso Generale
Michael Short, comandante delle forze aeree dell’Alleanza, dibatterono sugli inse-
gnamenti di un’operazione condotta senza impiego di truppe di terra e senza caduti
tra le forze della NATO. Vi fu chi sottolineò l’aiuto dato sul terreno dai guerriglieri
dell’UÇK, che forzavano i serbi ad uscire allo scoperto e ad essere così colpiti, e
dalle forze speciali della NATO infiltrate sul territorio e che la decisione della Serbia
di arrendersi fu fortemente influenzata dalle sempre più insistenti minacce di un’in-
vasione da terra.
I vantaggi, ma anche alcuni possibili rischi dell’uso esclusivo del potere aereo
7 E. Galli della Loggia, Il mondo contemporaneo (1945-1980), Bologna, 1982, pp. 266-68. Il soldato
occidentale, grazie ai moderni sistemi d’arma, cerca di «non venire a contatto con gli spargimenti
di sangue» (Qiao Liang-Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra
terrorismo e globalizzazione, Gorizia, 2001, p. 75).
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Al dibattito sull’importanza del potere aereo nella Seconda Guerra Mondiale partecipò anche la
Rivista Aeronautica, pubblicando, tra l’altro un articolo del Generale Carl Spaatz, comandante
dell’aviazione dell’Esercito statunitense (come è noto, la U. S. Air Force autonoma nacque solo nel
1947), che sostenne la tesi del potere aereo come unico strumento di proiezione globale della forza
e l’«offensiva aerea studiata e pronta» come «sola reale difesa» nell’era atomica, mentre per il suo
connazionale Ammiraglio Ernest J. King, Capo delle operazioni navali durante la guerra, era invece
ancora il potere marittimo a giocare un ruolo determinante: solo la Marina aveva infatti garantito il
possesso delle basi per l’impiego dell’arma atomica contro il Giappone. Un altro tema di dibattito
fu la valutazione dell’impatto, più o meno importante, dei bombardamenti alleati sulla Germania
(cfr. M. de Leonardis, The Debate in the Military Press and in the Public Opinion on the Lessons
Learned and the Recorganization of the Italian Armed Forces after the Second World War, in War,
th
Military and Media from Gutenberg to Today, Atti del XXVIII International Congress of Military
History, Bucarest, 2004, pp.492-502).