Page 14 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            lotta dell’oppresso contro l’oppressore. Di oppressi al mondo ve ne erano tan-
            ti, dalle Americhe all’Europa orientale, dall’India alla Cina, all’Australia, e per
            essi, in tutti i continenti, venne a rappresentare la concreta speranza che una
            personalità politica e militare dalle straordinarie capacità potesse abbracciare la
            loro causa, portarla alla vittoria, senza temere di sostituire oppressione con altra
            oppressione, certi di un disinteresse personale che il fine ultimo perseguito ga-
            rantiva: cessata la lotta necessaria contro ogni forma di oppressione, Garibaldi
            delineava un futuro di pace, garantito da istituzioni sovranazionali, deputate a
            dirimere eventuali controversie, e, da spirito pratico quale era, salvaguardato da
            una forza militare internazionale.
               Ma, ritornando ancora a Balbo, non si può che sottolineare che il mito del “ge-
            nerale” si fondava dunque sulle attese della dirigenza moderata e democratica,
            prima ancora del 1848. Garibaldi venne quasi naturalmente portato a ricoprire
            quel ruolo, privo di reali e validi candidati alternativi. Ma il suo modello politi-
            co e militare ideale era un altro, ed era legato strettamente alla sua formazione
            intellettuale.
               Gli ultimi studi ci hanno oramai dimostrato che lo studente Garibaldi ebbe
            dai suoi insegnanti una preparazione culturale di tutto rispetto; probabilmente,
            furono le declinanti fortune della famiglia ad indurlo a prendere le vie del mare
            come marinaio mercantile e ad abbandonare ogni altra velleità professionale. A
            sedici anni si imbarcò come mozzo, e per dieci anni fu pressoché sempre lontano
            dall’Italia, con l’eccezione di brevi e saltuarie soste. Nel 1833, venticinquenne,
            il destino lo porta ad essere capitano in seconda della “Clorinda”, e a naviga-
            re verso Istanbul con Emile Barrault e altri dodici sansimoniani: la tradizione
            vuole che durante il viaggio si sia verificata una sorta di iniziazione politica di
            Garibaldi alla dottrina di Saint-Simon, ma anche questa tradizione non sembra
            molto fondata. Garibaldi non la conferma e, dal canto loro, né Barrault, né i suoi
            compagni nell’avventura turca, nei loro diari del viaggio e negli scritti successi-
            vi, rammenteranno un incontro con Garibaldi, il quale era sconosciuto a tutti nel
            1833, ma ben famoso in Francia dopo il 1849.
               È più verosimile che Garibaldi, fermo a Taganrog per un periodo più lungo
            del previsto, vi incontrasse un affiliato alla Giovine italia, e da questi (che non
            era Giovan Battista Cuneo) fosse introdotto alle idee e ai programmi mazziniani.
            Restò affascinato da tale battesimo politico, ma, rientrato a Nizza, non incontrò
            Mazzini e non si iscrisse alla Giovine italia: più banalmente, si preparò a fare il
            servizio militare nella marina di Carlo Alberto. È probabile che una sua ecces-
            siva loquacità e una giovanile curiosità abbiano indotto le autorità genovesi ad
            inserirlo nel novero dei mazziniani protesi a preparare il fantomatico moto insur-
            rezionale della città ligure in concomitanza con la fallita spedizione di Savoia del
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