Page 16 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Governi legittimi. Nella lotta – secondo punto – riteneva che l’autorità politica
            e quella militare dovessero agire nell’autonomia delle loro reciproche funzioni,
            ma senza un deciso vincolo di subordinazione della seconda verso la prima. Per
            Garibaldi le due autorità dovevano sempre ricercare una linea comune per per-
            seguire il fine comune. Il terzo punto costituiva l’elemento più rivoluzionario:
            il comando politico e militare doveva essere affiancato da una sorta di ufficio
            di propaganda al quale affidare il compito di ricercare il consenso della popola-
            zione, di tutta la popolazione, contadini inclusi. In America Bento Gonçalves e
            le personalità che si succedettero al potere a Montevideo costituirono il nucleo
            politico, Garibaldi il nucleo militare e Luigi Rossetti e Giovan Battista Cuneo
            il nucleo propaganda: i tre nuclei dovevano agire di comune accordo, ma per
            Garibaldi il terzo, quello della propaganda, era certamente il settore cui dedica-
            re le cure principali. Ben presto Garibaldi comprese che la stampa non poteva
            essere l’unica forma di comunicazione con la popolazione: bisognava coinvol-
            gere i contadini, che non leggevano i giornali, ma senza i quali non si avevano
            vettovagliamenti e informazioni sul nemico. In poche parole, senza il favore dei
            contadini non si poteva vincere. I contadini – come ben spiegava Garibaldi – era-
            no strutturalmente conservatori dello status quo e tradizionalmente legati all’au-
            torità costituita: era essenziale trovare il modo di mutare la loro naturale ostilità
            ad ogni sommovimento e guadagnare il loro consenso. Bisognava innanzi tutto
            trattarli con rispetto e Garibaldi fu sempre inflessibile al riguardo nell’evitare
            eccessi e violenze nelle requisizioni ed inutili danni alle colture. Ma non bastava:
            era necessario comunicare i propri fini politici, sintonizzandosi con il linguaggio
            del popolo contadino e convincendolo che quei fini avevano una validità anche
            per il loro mondo.
               Nasce da questa esigenza il mito di Garibaldi, così come Garibaldi stesso
            volle crearlo: il vestiario militare, le effigi, le bandiere, le musiche, le rappresen-
            tazioni visive, la partecipazione attiva ai riti religiosi e alle festività tradizionali
            erano tutti modi per “bucare” il diaframma che separava le ristrette élites cultu-
            rali e politiche dal popolo vero e proprio, del quale ogni ideologo voleva il bene,
            ma senza comunicarglielo e, tanto meno, coinvolgerlo.
               Ritornato in Europa e in Italia, nel 1848 e nel 1849 Garibaldi comprese che il
            suo modello non era ben visto: ebbe il coraggio di adattarlo alle esigenze nazio-
            nali, senza tuttavia venir meno allo schema essenziale; i fatti del 1860, con l’im-
            presa dei Mille, gli dettero ragione. Combatté per Vittorio Emanuele e Cavour,
            la legittimità istituzionale e politica, ma con l’autonomia e la dialettica interna
            che ricercava; quanto alla ricerca del consenso, non aveva più Cuneo e Rossetti
            al suo fianco, ma aveva al seguito un intero stuolo di giornalisti ed intellettuali
            di ogni parte del mondo, e fra di essi aveva già scelto il suo massimo mentore,
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