Page 15 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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Atti del Congresso internAzionAle 15
inglese, esponendo i fatti e spiegando le cause del ripiegamento italiano di fronte
all’attacco austro-germanico. Queste cause, disse, erano state in primo luogo il
levarsi della nebbia che aveva reso impossibile l’uso delle artiglierie di posizione
e, in secondo luogo, la carenza di ufficiali italiani di carriera (dall’inizio della
guerra l’Italia aveva perduto 30.000 ufficiali) in grado di manovrare le truppe in
maniera efficace quando ebbe inizio la ritirata. Sostenne, poi, che non si doveva
attribuire grande importanza alla penetrazione del movimento pacifista nelle file
dell’esercito, il cui morale non ne era risultato troppo influenzato. Aggiunse che
le cause della depressione morale erano in un certo senso fisiologiche e dovevano
essere ricondotte al prolungarsi della guerra. Precisò con forza che nelle file
dell’esercito e della marina non esistevano tracce di tradimento malgrado le voci
in proposito. Passò, quindi, a fare un bilancio, dal punto di vista militare, della
ritirata: ricordò che la III armata era tuttora intatta e aveva potuto trasportare i
suoi feriti; che la II era in gran parte disciolta ma centinaia di migliaia di uomini
raccolti nelle retrovie sarebbero stati inquadrati quanto prima. Detto questo,
argomentò che la linea del Piave avrebbe potuto essere difesa efficacemente
perché sulla riva destra erano già in posizione 400 cannoni di assedio e altri
di grosso calibro mentre più avanti erano schierati 600 cannoni da campagna.
Le sponde del fiume, dunque, offrivano una sufficiente copertura rafforzata
dalla trincee che si stavano realizzando. In questa situazione, secondo il Re,
sarebbe stato necessario fare ogni sforzo per difendere la linea del Piave, anche
perché un suo eventuale cedimento avrebbe comportato la prevedibile perdita
di Venezia con la conseguente necessità di spostare la flotta italiana nelle basi
di Brindisi e di Taranto lasciando così l’Adriatico in balia della flotta austriaca
e dei sottomarini tedeschi. La difesa della linea del Piave gli appariva dunque
strategica e fondamentale anche per evitare che le truppe nemiche potessero
dilagare sull’altipiano di Asiago e occupare il Monte Grappa.
Colpì i presenti soprattutto la serenità con la quale Vittorio Emanuele III
parlò evitando di fare appello ad argomentazioni (il «disfattismo clericale» o il
sabotaggio dei socialisti) che, pure, avrebbero potuto rivelarsi utili da un punto di
vista dialettico e ammise, invece, una responsabilità tecnica dello Stato Maggiore
giustificata in parte dal terribile logoramento di una guerra di posizione.
Lloyd George, preso atto della sostituzione dal Comando Supremo del
generale Cadorna col generale Diaz affiancato dal generale Giardino, concordò
sulle valutazioni di Vittorio Emanuele III a proposito della difesa del Piave e
manifestò l’intenzione degli anglo-francesi di collaborare appieno coll’esercito
italiano mettendo a disposizione le sei divisioni alleate già presenti in Italia e
stabilendo che esse fossero poste sotto il comando supremo dello Stato Maggiore
italiano.
L’incontro di Peschiera, a ben vedere, avrebbe potuto trasformarsi in un vero e
proprio processo all’Italia, anche perché gli alleati erano prevenuti nei confronti