Page 166 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo



                                              nale  indossata dal Ten. Col. Valentini) riconducibile alla visita di saluto del Prefetto,
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                                              appena insediatosi nel maggio 1982, al Comando del Gruppo Carabinieri di Palermo.
                                              Il fatto che si trattasse di un rapporto davvero speciale lo testimonia anche il Maresciallo
                                              dei Carabinieri Mario Rapisarda, ora in congedo ma nel 1982 effettivo al Nucleo Investi-
                                              gativo del Gruppo di Palermo, allora comandato dal Ten. Col. Valentini, il quale nel corso
                                              di un colloquio ha riferito che il suo Comandante era particolarmente legato al Prefetto
                                              dalla Chiesa per i loro trascorsi professionali e ha raccontato che, la sera dell’eccidio di
                                              via Carini, mentre si trovava presso la Questura di Palermo, unitamente al Capitano dei
                                              Carabinieri Angiolo Pellegrini, suo diretto superiore al Nucleo Investigativo, a colloquio
                                              con il Capo della Squadra Mobile, Vice Questore Aggiunto Massimo D’Antona, apprese
                                              della notizia di un fatto di sangue in via Isidoro Carini. Recatosi immediatamente sul po-
                                              sto, unitamente al suo superiore e a personale della Questura, dopo aver constatato che
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                                              Emmanuela Setti Carraro e l’Agente di Pubblica Sicurezza Domenico Russo, si precipitò
                                              alla cabina telefonica più vicina per darne conferma al Comandante del Gruppo, il quale
                                              a sua volta piombò sulla scena del delitto in evidente stato di prostrazione e dolore.
                                              La scia di sangue che lasciarono numerosi tra i Collaboratori del Generale Carlo
                                              Alberto dalla Chiesa coinvolse, purtroppo, altri valorosi investigatori dell’Arma dei
                                              Carabinieri, tra i quali meritano di essere ricordati il Maresciallo Vito Ievolella 21


                                              20  All’epoca, l’uniforme estiva dei Carabinieri, prima Arma dell’Esercito Italiano, era di colore caki.
                                              21  Il Maresciallo dei Carabinieri Vito Ievolella nasce a Benevento il 4 dicembre del 1929. Penultimo di
                                              dieci figli, la sua era una famiglia contadina molto umile. Vito dunque aveva sperimentato la durezza
                                              di una vita fatta di sacrifici e stenti, ma anche la dignità con cui, nonostante le fatiche, i suoi genitori
                                              avevano costruito quella famiglia. È in questo contesto che, evidentemente, questo ragazzo acquisisce
                                              e assorbe i valori di determinazione, spirito di sacrificio, senso della giustizia che ispireranno tutta la
                                              sua vita. Ben presto decide di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri per poter contribuire, facendo la
                                              propria parte, a contrastare il malaffare e a difendere i più deboli. È determinato nel voler realizzare
                                              questo suo sogno tanto che all’età di soli 19 anni si arruola nell’Arma.
                                              Vito viene destinato alla Legione di Alessandria, dove si contraddistingue per le sue capacità, per la sua
                                              professionalità e per il suo attaccamento alla divisa. E così, nel biennio 1958-1959 frequenta il corso Allievi
                                              Sottufficiali della Scuola di Firenze, terminato il quale viene assegnato in forza alla Legione di Palermo.
                                              Quando, all’inizio degli anni ’60, si trasferì a Palermo, Vito fece una scelta. Non fu una destinazione
                                              casuale quella del capoluogo siciliano. Lui lo scelse, nella profonda convinzione che lì avrebbe potuto
                                              incarnare fino in fondo i valori in cui credeva e che lo avevano spinto a diventare Carabiniere. Un
                                              contesto estremamente difficile dove però avrebbe potuto dimostrare, come poi fece, tutto il suo valore.
                                              Nel capoluogo siciliano viene prima assegnato alla Stazione dei Carabinieri «Duomo» e poi alla guida
                                              della Stazione «Falde», corrispondente al territorio dell’attuale quartiere di Monte Pellegrino. Viene
                                              trasferito alla Caserma «Carini», in Piazza Giuseppe Verdi, dove coordinerà, con il grado di Maresciallo
                                              Maggiore, le attività del reparto «Delitti contro il patrimonio» del Nucleo Investigativo del Comando
                                              Provinciale dei Carabinieri di Palermo.
                                              Vito è da subito molto noto negli ambienti investigativi dell’Arma e tra i magistrati per la sua capacità
                                              professionale, per l’impegno investigativo e per la determinazione a fare luce tanto sul delitto comune
                                              quanto su quello mafioso. Vito, difatti, è anche molto conosciuto negli ambienti della criminalità mafiosa
                                              locale; si distingue per la sua fine e acuta sensibilità psicologica che, coniugata alla perizia investigativa,
                                              gli permette di penetrare a fondo nel territorio. Riesce a comprendere e a intuire anticipatamente la
                                              pericolosità e la forza dirompente dell’organizzazione mafiosa, in questi anni non ancora ben delineata
                                              nella sua composizione e struttura. Tutte queste caratteristiche gli sono valse, da parte della stampa,
                                              appellativi come «segugio temuto dai boss» e «specialista in casi difficili».
                                              I risultati ottenuti grazie alle sue tecniche investigative vengono ricompensati da sette encomi solenni e
                                              da ben ventisette apprezzamenti del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Non si ferma
                                              davanti a nulla Vito, mosso da un sincero senso della giustizia che lo spinge a porsi sempre dalla parte
                                              degli ultimi, dei più deboli, dei più indifesi. Un approccio al lavoro che è figlio, certamente, anche della
                                              sua profonda fede in Dio. Sì, perché Vito era anche un uomo molto sensibile, un padre e un marito
                                              amorevole e affettuoso. È sempre attento nel cercare di conciliare al meglio la sua vita professionale
                                              con quella familiare, non venendo mai meno a nessuna delle due responsabilità. Dai racconti dei suoi
                                              familiari e di chi lo ha conosciuto, viene fuori il profilo di una persona profondamente innamorata della
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