Page 419 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Prefetto di Palermo
Intendiamo dire: il coraggio, le idee chiare, la determinazione. Il coraggio anzitutto di chi,
pur potendo vivere sugli allori della lotta al terrorismo, accetta il rischio di giocarseli in una
partita molto più difficile. La chiarezza e la coerenza di un programma tattico e strategico
diretto a stanare la mafia, individuando e colpendo circuiti e collegamenti (finanziari, politici,
bancari, amministrativi) in cui si articola il mostruoso potere mafioso. La determinazione
a realizzare questo programma, quali che fossero le resistenze, i tentativi di sabotaggio, le
incomprensioni, e a far ricorso per realizzarlo a tutta l’autorità morale di cui personalmente
disponeva.
Che la sua determinazione avesse resistito anche alle delusioni e alle amarezze per i mancati
impegni delle Autorità romane, in merito all’estensione dei suoi poteri, non c’è ormai più
dubbio e dubbi non ne aveva la mafia. “Non riusciremo a battere definitivamente la mafia,
almeno non presto, ma riusciremo a contenerla e ad eliminare la sua influenza sullo Stato,
questo sì”, aveva detto con decisione al Ministro Formica appena il giorno prima dell’assas- 415
sinio. E aveva aggiunto con altrettanta fermezza: “La strada per arrivare a questo risultato
è soprattutto quella del controllo dei flussi finanziari che provengono dall’attività criminale
e che ad essa ritornano”. Ecco perché dalla Chiesa è stato eliminato.
Ma proprio il Generale diceva che, per essere uccisi, come lui è stato ucciso, non basta essere
per la mafia un ostacolo molto pericoloso. Molti hanno ricordato e ricordano in queste ore
quanto, ai primi di agosto, disse a un giornalista illustre venuto a Palermo per intervistarlo:
“Credo di di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa
combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso, ma lo si può uccidere perché è isolato”.
Ebbene noi ci chiediamo se questa combinazione non si sia esattamente verificata con
l’assai sgradevole balletto del Governo sui poteri di coordinamento prima promessi
al Generale dalla Chiesa per la lotta contro la mafia e poi rinviati, col risultato di un
decisivo incarico lasciato per oltre quattro mesi nel limbo e, infine, di un suo ridimensio-
namento, nell’ambito dei normali poteri prefettizi. Tutto un comportamento insomma
ch’è apparso non solo un’umiliazione inflitta al prestigio e all’autorità di dalla Chiesa, ma
un cedimento di fatto alle pressioni e comunque agli interessi di tante forze, compresi gli
ambienti democristiani. Chi ha dimenticato i bizantinismi del Ministro degli Interni e
l’infelice, quasi insultante, intervista del suo Sottosegretario? Sì, signori. Molti di quanti
avevano il dovere istituzionale o politico di dare contenuto e sostegno alla missione di
dalla Chiesa non hanno operato di conseguenza, e di questo non si potrà non trarne
nelle opportune sedi le necessarie conclusioni. Ci sono responsabilità, carenze gravi
dell’esecutivo, che dovranno essere chiarite fino in fondo. Guai se la risposta non sarà
questa volta ferma, pronta e chiara, garantita da una solida e determinata volontà e
guida politica. Ma di tutto questo si dibatterà a lungo nelle prossime ore.
In questo momento quel che più ci incalza è il bisogno di rendere intanto onore e, da
siciliani, un tributo di gratitudine a questo piemontese di coraggio, e di ardori risor-
gimentali caduto sulla trincea in difesa dell’autorità dello Stato, ma prima di tutto del
diritto della Sicilia e dei siciliani ad essere liberati dall’oppressione mafiosa.
Il Direttore Vittorio Nisticò vivrà abbastanza a lungo per scoprire che nessuna delle
sue invocazioni si avvererà, ad eccezione forse di quando preconizzò che di tutti tali
argomenti si sarebbe parlato a lungo non solo nelle ore successive, ma nei mesi che
seguirono.
L’unica risposta dello Stato fu concedere al suo successore ciò che aveva negato al
Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, appena pochi giorni dopo il suo omicidio.