Page 162 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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               modalità accettata divenne la pittura con apposite maschere, secondo il sistema normografico
               con ponti di intersezione negli spazi pieni. Queste vennero prodotte principalmente dall’Arse-
               nale di Torino, ma se ne conoscono anche esemplari di altri opifici come la Fabbrica d’armi di
               Terni. Il modello comune era realizzato secondo le taglie canoniche e con tutti gli accorgimenti
               necessari a renderlo il più aderente possibile alla calotta da trattare. Si agganciavano quindi ai
               due rivetti laterali; in basso il bordo era ritagliato a punta, per sovrapporsi all’accenno di visiera
               presente sull’elmetto stesso e al centro vi era l’intaglio dell’emblema da riprodurre. Le vernici
               e i pennelli occorrenti andavano richiesti alle rispettive direzioni d’artiglieria.
                  Come nel caso dei fregi metallici degli anni Venti, l’introduzione di quelli a mascherina
               per il Regio Esercito fu graduale, per via anche delle notevoli modificazioni ordinamentali e
               organiche succedutesi dalla metà degli anni Trenta. In linea di massima il fregio era anteriore
               centrale e rappresentava nella continuità della tradizione l’emblema dell’arma, del corpo e del-
               la specialità come sugli altri copricapi d’ordinanza. Nella sostituzione pratica del nuovo tipo i
               fregi passarono senza ulteriori specificazioni dal modello 31 al 33.
                  I marescialli d’Italia e i generali d’armata, designati d’armata e di corpo d’armata avevano
               l’aquila tinta d’oro sul fondo rosso; mentre per gli altri generali e i colonnelli incaricati di gra-
               do superiore l’aquila era tinta in argento su fondo rosso. Importante notare, come giustamente
               fa Viotti, che il fondo rosso non era previsto, né citato dalla circolare istituente i fregi per
               elmetto. 238
                  Per quanto riguarda la descrizione dei fregi – per questioni di sinteticità – si rimanda alla
               parte fotografica, non potendo però dimenticare alcune importanti introduzioni o modificazio-
               ni. I primi quattro reggimenti di cavalleria (Nizza, Piemonte Reale, Savoia e Genova) ebbero
               inizialmente come fregio la granata a fiamma dritta come sul berretto. Solo nell’estate del 1935
               riebbero la tradizionale croce portata durante la Prima guerra mondiale. 239
                  Debita considerazione va poi verso le reiterate osservazioni di Coccia, che in questo ha mo-
               strato un’attenzione poco comune verso i particolari più minuti dei fregi d’arma, corpo e specia-
               lità. Egli infatti in più occasioni ha ribadito sia l’abolizione immediata (tramite notificazione)
               del fregio delle compagnie motociclisti nell’aprile del 1937, sia la correzione del legislatore
               relativa all’inversione dei fregi di Sussistenza e di Amministrazione. La forma corretta sarebbe
               stata per il primo senza e per il secondo con la croce.  Autentico stupore poi nel ritrovamento
                                                                  240
               di un esemplare (fino ad allora) sconosciuto di fregio anche sugli elmetti per gli allievi dell’Ac-
               cademia di artiglieria e del genio: un modello molto simile a quello dell’artiglieria da costa, ma
               con le appie al posto delle bandiere. 241

                  Particolare attenzione va infine posta al fregio dei carabinieri. Si ricorderà che dal 1927 essi
               non ebbero – da normativa – più l’occasione per indossarlo. Questo non esentò il Ministero
               dal disporre nel 1934 anche per l’Arma lo specifico fregio a mascherina, da dipingere sulla
               fronte della calotta metallica. Passarono quattro anni; il modello 15 era stato riposto nei musei
               e si era approdati al modello 33, passando per il 31. L’intonso fregio dell’Arma venne ritenuto



               238 A. Viotti, Uniformi e distintivi dell’Esercito italiano nella Seconda guerra mondiale, op. cit., p. 206.
               239 Circolare n. 678 del 20/8/1935 del Giornale Militare.
               240 S. Coccia, Il legislatore colpiva anche allora, in «Uniformi & Armi», n. 100, luglio 1999, p. 32; idem, Le
                   uniformi metropolitane del Regio Esercito dalla riforma Baistrocchi all’inizio della Seconda guerra mondiale,
                   op. cit., p. 397.
               241 S. Coccia, Che fatica studiare. Il berretto da fatica per gli allievi delle Accademie militari, in «Uniformi &
                   Armi», n. 199, gennaio 2013, p. 42.
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