Page 34 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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34 I 100 ANNI DELL’ELMETTO ITALIANO 1915 - 2015
Posizioni sdraiata, utilizzando
la corazza come scudo
italiani, visto l’ingente peso e la scomodità generale, soprattutto in posizione distesa. Solo il
modello cosiddetto basso, ossia l’elmetto da trincea ebbe miglior fortuna nel corso del 1916, ri-
manendo in dotazione anche tra quei militari che nel frattempo avevano ricevuto pure l’Adrian.
A seguito poi dell’aggiunta delle imbottiture, la mobilità della testa e del collo era ancora più
ridotta e questo portò il soldato a disaffezionarsi ulteriormente dal modello originale. Logica
vuole che il corredo del combattente deve essere nel minimo indispensabile, perché «il soldato,
dobbiamo ricordarcelo bene, butta via tutto quel di più che per lui non rappresenta un bisogno
evidente e immediato, ma piuttosto un peso maggiore che grava sulle sue spalle già sovracca-
riche». 51
Del resto a partire dall’uso intenso del tiro parabolico delle innovative bombarde, a partire
dal 1916, le cosiddette Compagnie della morte ebbero un impiego sempre minore, derubrican-
do anche il loro pesante equipaggiamento. A titolo di cronaca si può annotare che alcuni quan-
titativi (non meglio precisabili) di diversi modelli Farina vennero utilizzati pure dall’esercito
belga, come pure dall’allora Servizio aeronautico italiano. Interessante in proposito la già citata
fornitura di 50 elmi (e corazze) per una sperimentazione, in previsione di un’eventuale impiego
a bordo dei velivoli. Le prove furono giudicate un insuccesso, visto che l’ulteriore onere tra-
sportato andava a inficiare sia sul carico del restante armamento, sia sulla stessa mobilità degli
aviatori, già costretti in spazi molto angusti. 52
Nonostante tutti i difetti riscontrati, i vari Farina furono gli unici tra i copricapi nazionali da
combattimento ad essere entrati effettivamente in servizio, prima dell’introduzione del modello
francese Adrian (e derivati). Quest’ultimo lo avrebbe soppiantato a partire dall’inverno 1915-
16 come unico copricapo metallico su larga scala, vista la propria maggiore maneggevolezza e
il modesto peso.
Tuttavia, è stato possibile reperire tutta una serie di prototipi, che non ebbero la medesima
51 G. Liuzzi, Ricordi e pensieri di un ex-Intendente d’Armata, Stabilimento Poligrafico per l’Amministrazione
della Guerra, Roma 1922, p. 164.
52 F. Cappellano-B. Di Martino-B. Marcuzzo, Gli artigli delle aquile, USAM, Roma 2011, pp. 36-37; F. Cappel-
lano, L’elmetto italiano della Grande Guerra, op. cit., pp. 39.

