Page 69 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 69
Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 69
Premessa
ulla presenza militare dell’Italia in Africa è stato scritto molto e da molteplici pun-
ti di vista. È però soltanto all’inizio degli anni Settanta che l’approccio a questo
S controverso argomento è cambiato, affrontandolo in modo più sistematico, e un
ulteriore salto di qualità si è avuto intorno alla metà degli anni Novanta con l’apertura de-
gli archivi che ha dato la possibilità ai ricercatori di accedere a una vasta documentazione.
Solo l’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito contiene diversi fondi
riguardanti la colonizzazione e migliaia di veline, di telegrammi, di relazioni che, nell’insie-
me, costituiscono un tesoro dal cui esame emergono le due facce dell’impegno italiano in
Africa: quella epica e avventurosa, ma anche quella più buia e drammatica. Non c’è ancora
invece, e probabilmente questa lacuna non potrà mai essere colmata, la visione dell’“altro
lato della collina” per la quale, mancando qualunque documentazione, ci si deve basare
su una memorialistica relativamente recente, su testimonianze orali e su fonti indirette,
con tutti i limiti che questo comporta. A tale quadro, poco aggiungono infine gli archivi
di quelle nazioni che, come la Gran Bretagna, la Francia e la Turchia, sono state all’epoca
comprimarie o spettatrici interessate di quelle vicende, con un contributo costituito da
note informative, analisi e relazioni di varia natura.
Oggetto di queste pagine sono le strategie e le soluzioni organizzative e tattiche utiliz-
zate dal Regio Esercito nella controguerriglia o, meglio, in quelle che le fonti anglosasso-
ni chiamerebbero small wars, una forma di conflitto intrinsecamente non lineare sia nel
dominio dello spazio sia in quello del tempo, spesso caratterizzata da profonde differenze
culturali tra i contendenti che contribuiscono ad aumentare l’asprezza dello scontro. A
fronteggiarsi furono da un lato gli insorti, spinti da motivazioni che, accanto al rifiuto
della occupazione straniera, vedevano emergere anche spinte di natura religiosa, dall’altro
soprattutto i reparti di colore inquadrati da ufficiali italiani, con un supporto tecnico e
logistico che sfruttava al meglio il progresso scientifico del XX secolo. Fu negli anni Venti,
fra le dune degli sconfinati deserti libici, che si consolidò l’idea dell’utilizzo di milizie locali,
ma anche di eritrei, yemeniti e somali, che per le loro caratteristiche di frugalità, resistenza,
mobilità e aggressività permettevano di dare un’impostazione diversa alle operazioni di
controguerriglia, riproponendo una soluzione che era già stata attuata da altre potenze
coloniali, non ultimi gli eserciti dell’antica Roma con le loro coorti di ausiliari.
La Grande Guerra, il primo conflitto tecnologico della storia, aveva visto l’impiego su
larga scala di artiglierie a tiro rapido, mitragliatrici, stazioni radiotelegrafiche che in colonia
avrebbero enfatizzato le possibilità d’azione dei reparti indigeni, regolari e non, mentre il
dominio del cielo avrebbe permesso di imprimere alle operazioni un ritmo in precedenza
inimmaginabile. In Libia la drammatica situazione del 1915, quando l’occupazione ita-
liana si era ridotta a pochi centri costieri, venne capovolta nel giro di un decennio, tra la
primavera del 1922 e i primi mesi del 1931, nonostante le difficoltà provocate dal terreno e
l’accanita resistenza di un avversario tenace e coraggioso. I libici, sia pure in forma confusa e
disorganizzata, si opposero a lungo a una dominazione considerata peggiore di quella otto-