Page 74 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Cosa determinò un tale cambiamento? Innanzitutto gli ufficiali, effettivi e di complemen-
to, avevano nella quasi totalità maturato una significativa esperienza al fronte durante la
Grande Guerra . Si venne così a creare una categoria di quadri che riuscì a esprimere il
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meglio di sé adattandosi ad esigenze molto diverse da quelle dell’ambiente metropolitano
e riuscendo a sviluppare soluzioni innovative e vincenti , nella piena consapevolezza delle
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possibilità offerte dai nuovi mezzi a disposizione, l’aeroplano, l’autoblindo, l’autocarro, la
mitragliatrice . Di contro non fu fatto alcun serio tentativo di “capire” l’avversario, affron-
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tando la dimensione culturale del conflitto, a cominciare dalla conoscenza della lingua ara-
ba che rimase patrimonio di pochi, nonostante l’insistenza di un comandante carismatico
come Rodolfo Graziani. Per quanto riguarda la truppa, preso atto delle difficoltà oggettive
che i “nazionali” incontravano in un ambiente ostile come quello desertico, il problema fu
risolto ricorrendo a unità di volontari e soprattutto costituendo reparti indigeni, un esperi-
mento che, seppure non sempre riuscito, si sarebbe dimostrato vincente.
Su un piano squisitamente tattico, fu migliorata la capacità difensiva, adottando so-
luzioni più appropriate sia a livello campale sia a livello semipermanente e permanente,
e vennero migliorati i collegamenti tra i presidi, grazie anche all’utilizzo dell’aviazione.
Proprio l’impiego dell’arma aerea per il controllo del territorio si dimostrò elemento irri-
nunciabile e risolutivo: i velivoli vennero infatti utilizzati in una molteplicità di ruoli, dalla
ricognizione armata alla scorta alle colonne, alla sorveglianza della costa e delle regioni
desertiche, al bombardamento. Il tutto in un contesto in cui l’azione dei reparti operanti
sul terreno veniva coordinata grazie alle stazioni radio campali, la necessaria mobilità in
ambiente desertico era assicurata dai gruppi sahariani cammellati, appoggiati da autoblin-
do, e il supporto logistico da colonne di automezzi. Oltre ai gruppi sahariani, un ruolo
fondamentale ebbero i battaglioni eritrei, meglio se autocarrati, e le formazioni irregolari
libiche, più agili e snelle dei reparti nazionali e soprattutto con una perfetta conoscenza del
territorio e dell’avversario.
Si è accennato in precedenza che nel 1912, alla firma della pace con la Turchia, lar-
ga parte del territorio libico sfuggiva al controllo italiano e che lo scoppio della Grande
Guerra aveva imposto altre priorità, facendo svanire qualunque proposito di espansione.
Al termine del conflitto, al governo italiano si poneva il problema di cosa fare della Libia
e soprattutto di come assicurarsene l’effettivo controllo, dando significato a quel progetto
coloniale rimasto appena abbozzato. Nel primo semestre del 1919, mentre a Versailles si
cercava di definire non senza contrasti un nuovo assetto europeo e mondiale, si cominciò
autonoma nei grandi problemi internazionali sul tappeto” (Mario Montanari, Politica e strategia in
cento anni di guerre italiane, Vol. III, t. I, Roma, USSME, 2005, p. 37).
162 luiGi tuccari, I governi militari della Libia (1911-1919), Roma, USSME, 1994, p. 287.
163 La memorialistica è vasta e ci può aiutare, se ovviamente presa con le dovute cautele. Si veda, per tut-
ti, ottorino Mezzetti, Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, Roma, Cremonese, 1933.
164 La superiorità italiana in termini di mezzi era evidente, ma Ali Abdullatif Ahmida, affermando che
furono soltanto questa e l’utilizzo dei gas a determinare l’esito dello scontro, dimentica fattori impor-
tantissimi quali le rivalità tribali, evidenti ancora oggi, e la spossatezza delle tribù libiche (ali aBdul-
latiF ahMida, The making of modern Libya, op. cit., p. 134).
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