Page 79 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 79
luoghi caratterizzati da condizioni così estreme, basta leggere ciò che Graziani scrisse a pro-
posito dell’occupazione delle oasi di Cufra: tutto doveva essere calcolato nei minimi detta-
gli e si doveva essere pronti ad ogni evenienza, pena la completa distruzione delle colonne
operanti . Nella sua corrispondenza Graziani si soffermò spesso sui problemi proposti da
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quelle infinite distese sabbiose. Sempre in relazione all’avanzata su Cufra, in una lettera al
capitano Duranti scrisse che nel deserto non c’era spazio per i sogni ed era invece necessario
un grande realismo: in un terreno quasi privo d’acqua e ricco solo di sabbia, con distanze
enormi, non ci si poteva permettere di sbagliare . Duranti, non a caso, gli rispose che in
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questo ambiente ostico “si sa come si comincia, ma non si sa come si finisce” . L’azione nel
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deserto presentava molti elementi in comune con l’azione in alta montagna: in entrambe
i casi, infatti, i reparti erano costretti ad operare lontano dalle basi facendo conto soltanto
sulle proprie forze. La sensazione di isolamento era quindi la stessa in montagna come nel
deserto, come era la stessa la mancanza di risorse. Tutto doveva essere portato al seguito e
questo richiedeva un’attenta preparazione logistica per non appesantire troppo le colonne.
Comune era anche il problema proposto da condizioni climatiche estreme, e in entrambi i
casi le comunicazioni erano un punto dolente, data la distanza dalle basi di rifornimento,
le vallate in montagna, i pozzi d’acqua nel deserto. In merito ai pozzi le informazioni do-
vevano essere aggiornate e precise, il che non fu facile nei primi anni della colonizzazione,
quando si poteva contare solo sulle guide locali e su mappe ancora molto approssimative.
Se i rifornimenti d’acqua erano insufficienti, anche la colonna più robusta e attrezzata
rischiava di essere distrutta . Infine uno degli elementi fondamentali nelle operazioni di
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controguerriglia, la sorpresa, era condizionato in entrambi gli scenari da diversi fattori: in
montagna il terreno aspro e accidentato, nel deserto la vastità degli spazi apparentemente
uniformi ma ricchi di anfratti che favorivano le imboscate. In queste condizioni reparti
troppo pesanti avrebbero avuto notevoli difficoltà a manovrare in modo efficace.
Si è detto dei pozzi: a livello tattico, le operazioni in pieno deserto si concentravano
quasi sempre, intorno ad essi perché, nonostante la grande percorribilità del territorio, era
proprio sui punti d’acqua che convergevano tutte le direttrici. Il deserto poi, anche se per
un tempo limitato, permetteva di seguire i movimenti delle carovane e dei gruppi di armati
attraverso le tracce lasciate sulla sabbia, interpretate dagli indigeni dei reparti coloniali in
grado di fornire informazioni ai comandanti italiani. A causa delle temperature torride le
173 Lettera del 27 settembre 1930, firmata Graziani, Corrispondenza con De Rubeis, ACS, FG, scatola 7,
fascicolo 10, sottofascicolo 2.
174 Lettera firmata Graziani del 17 ottobre 1930 da Bengasi, Corrispondenza capitano Duranti, ACS, FG,
scatola 7, fascicolo 10, sottofascicolo 3.
175 Lettera firmata Duranti del 27 ottobre 1930 da Tripoli, Corrispondenza capitano Duranti, ACS, FG,
scatola 7, fascicolo 10, sottofascicolo 3.
176 Si vedano le teorie del visconte di Wolseley già nel 1900, quando affermava che i selvaggi mai avreb-
bero attaccato in campo aperto, che di regola si rifugiavano sui monti e nelle foreste, come predato-
ri, per attendere il momento adatto all’attacco, come in AUSSME, Fondo L-7, busta 61, fascicolo 4:
Sulla costituzione dei piccoli corpi di spedizione e sul modo di combattere contro nazioni selvagge, Estratti
da Soldier’s pocket-book for field service del Generale visconte di Wolseley, 1900.

