Page 80 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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marce dovevano essere effettuate prevalentemente di notte, dando per scontato che il ne-
mico non fosse nei paraggi, e “a massa” per evitare la sorpresa che avrebbe potuto scatenare
il panico: era quindi fondamentale operare sempre in condizioni di massima sicurezza.
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Una volta deciso il luogo in cui montare il campo, bisognava subito alzare dei muretti a sec-
co, mettere in postazione le mitragliatrici in modo che potessero coprire tutto il perimetro
e ripartire i compiti per la difesa notturna, facendo attenzione soprattutto alle ultime ore
prima dell’alba, di solito scelte dal nemico per attaccare. Nel deserto più che altrove era pre-
feribile impiegare formazioni miste, con fanteria, artiglieria e truppe montate poco pesanti
e ben articolate, con un treno bagagli quanto più ridotto possibile: la velocità, soprattutto
nella fase di presa di contatto col nemico, era essenziale. Una volta raggiunto, l’avversario
non doveva più sfuggire, cosa persino peggiore del non riuscire a scovarlo. Per soddisfare
tutte queste esigenze furono costituiti i reparti sahariani: fanteria cammellata arruolata tra
le tribù nomadi, con dotazioni ridotte all’essenziale e in grado di coprire anche un centi-
naio di chilometri in un’unica tappa. Il valore del contributo delle popolazioni locali alla
causa italiana era ben evidente agli esperti “coloniali” e Graziani, che lo aveva ben compre-
so, per assicurarselo non avrebbe esitato a sfruttare gli odi atavici fra le tribù della Libia.
Un’altra difficoltà nelle lunghe marce, oltre alla mancanza d’acqua, era il vento, il fa-
migerato ghibli, come sottolineò nel 1923 un altro protagonista di assoluto rilievo di quel-
le vicende, il colonnello Ottorino Mezzetti . Oltre a ridurre drasticamente la visibilità,
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aumentava l’arsura di uomini e animali con conseguenze imprevedibili: il servizio idrico
spesso era assicurato soltanto con le ghirbe, grosse borracce in pelle di capra, che potevano
rompersi quando i cammelli si toccavano, e soprattutto, se il vento era troppo insistente,
venivano bucate di nascosto da ascari e cammellieri per placare la sete. Le ghirbe nuove po-
tevano inoltre rovinare l’acqua più facilmente di quelle vecchie, come testimoniano anche
ufficiali del calibro dell’allora tenente colonnello Sebastiano Gallina: meglio allora usare
barili in legno stagionato che duravano di più e difficilmente perdevano.
I cammellieri, ancora nel 1928 , erano ripartiti in gruppi etnici in base alla provenien-
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za e ogni gruppo era suddiviso in nuclei di circa 100 cammelli. Il comando veniva affidato
a un capo carovana, ai cui ordini stavano i capi dei gruppi e a seguire quelli dei nuclei. Il
comando e la responsabilità della colonna erano però sempre assegnati a un ufficiale colo-
niale. La colonna rifornimenti organizzata da Graziani per il movimento su Hon, Zella e
Tagrift, era divisa in quattro scaglioni, acqua, viveri, munizioni e carichi diversi, ognuno
dei quali con un proprio gagliardetto per poter essere riconoscibile durante la marcia e
nelle soste. Annotò in proposito Graziani: “[…] Il grande e pesante convoglio risultava così
snodato in elementi ben definiti, leggeri, maneggevoli, facilmente e rapidamente pronti ad
ogni esigenza di carico e movimento; con tale sistema il caricamento dell’intera carovana
177 Ciò significava formazioni di marcia poco allungate e con salmerie e artiglieria al centro per poter re-
agire con prontezza a un eventuale attacco di sorpresa.
178 Carteggio operativo del Comando truppe della Tripolitania e di reparti in sottordine. Gennaio-dicembre
1923, firmato col. Mezzetti, 6 luglio 1923, AUSSME, Fondo L-8, busta 154, fascicolo 18.
179 colonna Graziani, Organizzazione logistica e funzionamento dei servizi durante i movimenti per Hon-
Zella e Tagrift, firmato Graziani, AUSSME Fondo L-8, busta 156, fascicolo 10, Allegato n. 4.
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