Page 76 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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           ottomana: la costa agli stranieri, l’interno ai libici. In Tripolitania nel 1919, nel tentativo di
           allentare la tensione con Suleiman el-Baruni, un’altra trattativa portò alla concessione dei
           cosiddetti statuti. Questi accordi ebbero però breve durata e si risolsero in un sostanziale
           fallimento. Fu così che nel 1922, con l’occupazione della strategica cittadina portuale di
           Misurata Marina, si aprì la fase della riconquista, conclusa nel 1931 con la caduta di Cufra,
           ultimo bastione degli insorti. L’avvio delle operazioni fu dunque deciso dal governo Facta
           e dal suo ministro delle Colonie Giovanni Amendola, tanto che all’avvento del fascismo le
           truppe italiane erano già penetrate profondamente in Tripolitania .
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           L’ambiente

               Per comprendere gli avvenimenti è necessario prima di tutto conoscere le caratteristiche
           del territorio in cui le truppe si trovarono a operare. La Libia non era l’Italia, né poteva dirsi
           simile a qualunque altro Paese europeo: l’assoluta mancanza di infrastrutture e il carattere
           desertico della maggior parte del territorio, ne facevano un ambiente molto ostile al quale
           bisognava sapersi adattare per vincere e innanzitutto per sopravvivere. Divisa in tre gigan-
           tesche regioni – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – per una superficie complessiva di quasi
           1.800.000 km², cioè quasi 5 volte quella dell’Italia, all’inizio della cosiddetta riconquista
           era controllata solo in piccola parte dal Regio Esercito, ed era totalmente sconosciuta ai più.
               La Tripolitania, una regione di quasi 900.000 km², era divisa dalla Cirenaica dal de-
           serto della Sirte. La zona più fertile, e quindi la più ricca, era quella della costa, dove si
           concentrava la maggior parte della popolazione con circa 500.000 abitanti. Nella Gefara,
           la pianura costiera ad ovest di Tripoli, si viveva di agricoltura e pastorizia, così come sull’al-
           topiano del Gebel tripolitano, mentre a sud si stendeva il deserto punteggiato da oasi più o
           meno produttive, fino alla regione più meridionale, quella del Fezzan. Nella parte centrale
           della Tripolitania e della Sirtica - la Ghibla - vagavano tribù, provenienti dalle zone di Sirte,
           di Misurata, di Orfella, di Tarhuna e anche dal Fezzan, dedite alla pastorizia e alla coltiva-
           zione stagionale dei cereali Gli abitanti della Sirte appartenevano a due gruppi etnici: i Saf
           en Bahar (genti costiere), con le cabile el-Fergiàn, ez-Zauia, el Hsun, Aulad Uafi, Aulad
           Isa ez-Zahaua, Maadan, el Abadla, tutte in rapporto con gli Aulad Bu Sef, coi Mogarba e
           con altre tribù del Fezzan, e i Saf el Foghi (genti di sopra), con i Gadadfa, i Tmamma e gli
           Orfella, in rapporto con gli Ulad Suleiman. Diversamente dalla Cirenaica, dove la confra-
           ternita senussita rappresentava un punto di riferimento e forniva un embrione di struttura
           organizzativa a cui tutte le tribù facevano riferimento, in Tripolitania non c’era nulla di

           165 Secondo alcuni studiosi, come il libico A.A. Ahmida la svolta si sarebbe avuta con l’avvento del fasci-
              smo, il che è assai discutibile (ali aBdullatiF ahMida, The making of modern Libya. State formation,
              colonization and Resistance, 1830-1932, op. cit. e Forgotten voices. Power and agency in colonial and
              postcolonial Libya, New York, Routledge, 2005). E’ piuttosto importante sottolineare che il coloniali-
              smo italiano si differenzia dagli altri per il più marcato ruolo dei militari, ma questo non è certo suffi-
              ciente per definirlo il peggiore. Riguardo alle differenze fra i vari colonialismi si veda nicola laBan-
              ca, L’imperialismo coloniale nell’ultima delle grandi potenze. Una rassegna di studi e problemi, in “Africa
              e Mediterraneo”, n. 2/96 (17).

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