Page 73 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 73
Delle tre regioni storiche, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, se la prima era relativamente
fertile solo nella fascia costiera, le altre due erano ancor meno invitanti. In Cirenaica l’alto-
piano del Gebel era l’unica zona abitabile, ma era anche un territorio non facile da control-
lare che, difficilmente percorribile da mezzi meccanici, rappresentava l’ambiente ideale per
la guerriglia. In tutta la regione era poi molto forte l’influenza della Senussia, confraternita
religiosa con una forte connotazione politica che, nata ai primi dell’Ottocento, si era ra-
pidamente affermata con il moltiplicarsi delle sue zauie, a un tempo scuole coraniche ed
empori commerciali. La presenza della confraternita senussita, con la sua forza aggregante,
rappresentava una significativa differenza con la Tripolitania, dove le tribù nomadi costitu-
ivano un arcipelago anarchico.
Questa situazione favorì la penetrazione italiana che in meno di tre anni, tra la pace di
Losanna e il maggio del 1915, si estese a buona parte della Tripolitania e del Fezzan, ma con
l’entrata in guerra non ci fu più spazio per avventure coloniali. Cadorna era convinto che le
forze disponibili dovessero essere concentrate contro l’Austria-Ungheria e che la vittoria in
Europa avrebbe poi permesso di riconquistare ciò che si fosse eventualmente perso in Afri-
ca. Da ciò la decisione di non inviare altre truppe sulla “Quarta Sponda” e di richiamarne
anzi una parte per alimentare lo sforzo principale. Nella tarda primavera del 1915, quando
scoppiò la rivolta, i presidi italiani del Fezzan e dell’interno della Tripolitania vennero così
travolti, riducendo l’occupazione alle sole città di Tripoli e Homs, né fu fatto nulla per
riprendere il controllo dei territori perduti, mentre i ribelli potevano contare sull’appoggio
della Turchia e della Germania.
Al termine della Grande Guerra, dopo un periodo di relativa calma conseguente anche
alla promulgazione degli statuti libici nel giugno del 1919, le cose iniziarono a cambiare. Si
era nel primo semestre del 1922, e di fascismo quindi ancora non si poteva parlare, quando
il governo italiano riprese seriamente in considerazione quei propositi di “riconquista” che
si erano già manifestati nel 1919, prima dell’accordo sugli statuti. A ridurre lo spazio per
eventuali trattative era anche l’atteggiamento delle tribù, incapaci di parlare con un’uni-
ca voce e comprensibilmente poco disposte ad accettare compromessi che ne limitassero
l’indipendenza. Il primo risultato significativo fu la conquista di Misurata Marina, in Tri-
politania, a cui fece seguito l’esito positivo di alcuni scontri sul Gebel tripolino. A questi
successi contribuirono diversi fattori: l’invio massiccio di uomini e mezzi, l’uso di nuovi
procedimenti tattici e, elemento da non sottovalutare, la stanchezza delle popolazioni. Era
un evidente salto di qualità nell’utilizzo dello strumento militare in operazioni di polizia
coloniale, un salto di qualità, analogo a quello che sarebbe stato compiuto in Etiopia, che,
come dice Giorgio Rochat, rappresenta “la pagina più brillante del colonialismo italiano” .
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161 GiorGio rochat, Le guerre italiane in Libia e in Etiopia dal 1896 al 1939, Udine, Gaspari Editore,
2009, p. 35. Va però sottolineato che a livello politico-strategico i risultati furono modesti. Come ha
scritto infatti il generale Mario Montanari: “[…] sino alla fine degli anni Venti la politica estera di
Mussolini fu concepita essenzialmente ai fini interni, per ricavarne elementi di consolidamento del
regime. In tale ambito le linee d’azione si dipanarono nel filone di una politica di sicurezza in Europa
ed accennarono ad una politica di espansione nel Mediterraneo orientale in Africa. I risultati furono
obiettivamente modesti e, soprattutto, Mussolini non riuscì nel suo intento di collocarsi in posizione