Page 72 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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72 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
Libia (1922-1931)
La “Quarta Sponda”
La sconfitta di Adua aveva profondamente colpito l’immaginario collettivo, tanto che
dopo quel fatidico 1° marzo 1896 sia in parlamento sia nella piazza era emersa una forte
opposizione a qualunque ulteriore impegno in Africa e ci fu anche chi suggerì di cedere l’E-
ritrea a qualche altra nazione europea affidando la trattativa a Ferdinando Martini, uomo
politico d’indubbio spessore. Perché allora l’Italia prese in considerazione un’altra impresa
coloniale? Se in Africa Orientale per spingersi all’interno occorreva fare i conti con l’Etio-
pia, sbarcare in Tripolitania e Cirenaica significava confrontarsi non solo con il decadente
impero ottomano, ma anche e soprattutto con la comunità arabo-musulmana. Se poi si
considera la forte opposizione interna, tra le cui fila cominciava a farsi notare un giovanis-
simo Mussolini, c’è davvero da chiedersi perché l’Italia giolittiana si sia lanciata in questa
avventura. Oggi possiamo dire che, come spesso è accaduto e accade nella politica estera
italiana, l’impresa di Libia fu voluta per una questione di rango e di prestigio più che per
ragioni di tipo economico. Seppure in ritardo rispetto ad altre nazioni europee, il possesso
della Libia avrebbe dato all’Italia il posto a cui aspirava nel contesto mediterraneo e più in
generale in quello internazionale, riscattando nel contempo la vergogna di Adua. Le stesse
motivazioni consigliarono nel dopoguerra di rilanciare una politica di penetrazione in Li-
bia, e questo già prima dell’avvento del fascismo che avrebbe fatto della “riconquista” un
punto d’onore. L’Italia non doveva e non poteva essere da meno delle altre nazioni europee.
Dopo aver messo piede in Libia nell’ottobre del 1911 l’Italia era riuscita a costringere la
Turchia a cedere la regione con il trattato di Ouchy nell’ottobre del 1912, ma a quel punto
si era proposto uno scenario del tutto inatteso, con l’insurrezione di larga parte delle tribù
libiche contro l’invasore infedele, un’eventualità a cui i politici italiani non avevano pen-
sato . In questo senso, quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una passeggiata
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militare, si trasformò in “una lunga marcia durata oltre trent’anni” . Non appena appresa
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la notizia della firma del trattato italo-turco Suleiman al-Baruni, già deputato in quello che
era stato il parlamento di Tripoli, dichiarò che la resistenza dei berberi iniziava in quell’i-
stante. Era il novembre del 1912 e dell’immenso territorio libico solo le località maggiori e
alcune zone costiere potevano dirsi sotto il controllo italiano.
159 Si vedano gli interessanti spunti di riflessione sul problema del colonialismo proposti da Bipan Chan-
dra e ripresi da A.A. Ahmida nel suo testo sulla nascita della Libia moderna. L’interpretazione propo-
sta è quella della ricerca di una possibilità di espansione per i mercati, in termini di possibilità di inve-
stimento e di materie prime. (ali aBdullatiF ahMida, The making of modern Libya. State, formation
and resistance. 1830-1932, State University of New York, 1994, pp.103-104). Anche la trattazione
sull’ideologia fascista del colonialismo come ripresa delle vicende epiche della romanità non è da sot-
tovalutare, come in MaSSiMiliano Munzi, L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella Tripolitania
italiana, “L’Erma” di Bretschneider, Roma, 2001, pp. 9-12.
160 claudio G. SeGré, L’Italia in Libia. Dall’età giolittiana a Gheddafi, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 47.
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