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L’EROE SENZA NOME Il Milite Ignoto simbolo del sacrificio
mania e alla Serbia, il paese più duramente colpito
dalle perdite provocate dal conflitto.
Un numero così elevato di caduti, mai raggiunto da nes-
suna guerra precedente, rese necessario porsi la que-
stione delle strategie da adottare per elaborare un lutto
che si poteva definire globale.
Fu prima di tutto una necessità privata in quanto quasi
ogni famiglia aveva perduto nel conflitto almeno un pro-
prio caro e sui luoghi interessati dalle battaglie sorsero
spontaneamente croci e lapidi a ricordo di chi aveva
perso la vita combattendo, a opera dei commilitoni o
della stessa popolazione locale. In seguito, si iniziò a
erigere monumenti in quasi tutte le piazze d’Europa,
come se fosse sentita la necessità di non spegnere mai
più il ricordo di quanto avvenuto, attraverso un simbolo
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duraturo che rappresentasse la memoria dei caduti .
Questa esigenza divenne, ben presto, impegno pubblico
che si diffuse attivamente in tutte le nazioni coinvolte.
Successivamente, nell’Europa del primo dopoguerra si
ebbe la trasformazione del lutto privato e familiare in Tombe di caduti al margine di un cimitero nelle immediate retrovie
un sentimento collettivo di natura patriottica, fattore del fronte italiano
che mai si era così ardentemente rivelato nella storia
precedente al Novecento, che vide nella ritualizzazione
della memoria dei caduti la principale espressione del
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culto della nazione a opera di tutto un popolo . I caduti
divennero parte integrante della solidarietà dei vivi, rin-
vigorendo la nazione attraverso coloro che erano stati
al fronte ed erano sopravvissuti. Lo storico francese Mi-
chel Vovelle affermò che “il culto dei caduti, manife-
statosi all’indomani del Primo Conflitto Mondiale, fu la
più impressionante celebrazione collettiva della morte
che si sia vista da parecchi secoli” .
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L’imponenza delle perdite e il prolungarsi della guerra
costrinsero a seppellire i caduti in luoghi in cui le loro
tombe potessero essere accudite e, a partire dalla
Grande Guerra, il Cimitero di guerra occupò un posto
centrale nel culto del soldato caduto tanto che, in tutti
gli stati belligeranti, sorsero cimiteri militari e soprat-
tutto monumenti dedicati.
Nasce spontaneo domandarsi per quale motivo tutti i
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paesi coinvolti nel conflitto, a eccezione della Russia , Conferenza di Versailles, il tavolo delle trattative
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Alberto Mario Banti osservava che tale tendenza era animata dalla volontà di “far sì che il monumento a un’intera comunità di morti degni di essere ri-
cordati sia situato non in un luogo appartato e scarsamente visibile, ma nel bel mezzo della vita civile”, Sublime madre nostra. La Nazione italiana dal ri-
sorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari, 2011, pp. 137-138.
7
Maurizio Ridolfi, Le feste nazionali, il Mulino, Bologna, 2003, p.154.
8
Michel Volvelle, La morte e l’Occidente dal 1300 ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari, 2000.
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In Russia fu la Seconda Guerra Mondiale a ricoprire un ruolo paragonabile a quello avuto nell’Europa occidentale dalla Prima. “In Unione Sovietica dopo il 1945, i
monumenti ai caduti replicarono quelli costruiti nel resto d’Europa dopo la Grande Guerra. Erano spesso monumenti giganteschi, con in cima figure eroiche, custoditi
giorno e notte da una guardia d’onore formata da soldati regolari o da giovani […]. L’Unione Sovietica non poteva riconoscere la Prima Guerra Mondiale perché i bol-
scevichi l’avevano avversata, e quindi, la Seconda si insediò al suo posto”. George L. Mosse, Le Guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, cit., p. 236.
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