Page 77 - Lanzarotto Malocello from Italy to the Canary Islands
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dall’Italia alle Canarie                                              77



               baffi che pare vogliano produrre uno stacco da un pallore invero troppo
               spirituale. Pure, da Cartesio giovane possiamo soffermarci sul Bernini, an-
               che lui provvisto di chioma lunga e poi con baffi, in questo caso ondulati,
               e con quel pizzetto da vero cantore della Storia dell’Arte.
                  Ecco, i tratti del viso di Lanzarotto Malocello per noi stanno compresi
               tra quelli dei due personaggi menzionati, un filosofo e un artista. Ma il so-
               gno si stempera mutandosi in fatto concreto al pensiero che in ogni Casata
               il giovin signore, attorniato dai gloriosi antenati, ha quasi sempre queste
               caratteristiche. E non fa nulla se non sappiamo se fosse o meno intenditore
               d’arte; in vero, quello che possiamo intuire è che, da navigatore, doveva
               essere posseduto da un continuo stupore per come mutava lo scenario di-
               nanzi; e così il suo animo era invaso continuamente da sensazioni dalle
               quali, poi, nella successiva quiete, sorgeva la riflessione e così, le due “pro-
               fessioni” s’erano, per così dire, abbracciate.
                  Cosa vi è poi nel salpare, nel collezionare orizzonti se non un interro-
               garsi sul senso della vita, sull’andare incontro a quell’inconoscibile nel
               quale speriamo d’incontrare la “causa prima”? Ecco un altro punto a nostro
               favore: il viaggio, la scoperta, la conquista, la ricchezza, la gloria: tutto
               questo ha un senso ed un valore ma non vi è forse nell’uomo che si mette
               in viaggio il desiderio “di andare a vedere” come in realtà stanno le cose,
               proprio come per la curiositas di Ulisse?
                  Dai grandi navigatori agli scrittori di mare, da Giovanni Caboto a Va-
               sco de Gama, da Herman Melville a Joseph Conrad, ecco che è anche
               l’indagine sulla natura e sull’uomo dinanzi a quelle forze incontrollabili a
               decretare il viaggio: la reazione davanti all’ignoto, il comportamento della
               natura e quello di chi ha osato guardarla negli occhi, sfidarla.
                  Il viaggio si contempla anche sulla Terra, anche in piano, “al sicuro” e
               il fine ultimo non muta. Il “Don Chisciotte” è, assieme alla Divina Com-
               media, tra i più grandi viaggi concepiti dall’Uomo. Viaggio solo per terra?
               Non proprio, a ben vedere. In entrambe le rappresentazioni è nel “viag-
               gio”, nella sete di assoluto e di pacificazione eterna la risposta più imme-
               diata alla constatazione del dissolvimento che ci assedia. Il “mettersi in
               cammino” è la possibilità di un continuo cambio d’orizzonte (fino all’ulti-
               mo fondale, quello vero), e dunque il ri-vedere, il catalogare, il riflettere e
               il liberarsi, infine, degli affronti terreni.
                  Si avverte oggi la nostalgia per l’inconoscibile, per quanto un tempo
               poteva essere definito “luogo non giurisdizionale”. Oggi niente ci è più
               ignoto ed anche il “giacimento della solitudine”, come viene spesso de-
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