Page 231 - La rappresentazione della Grande Guerra nel concorso della Regina Elena del 1934
P. 231

PRESENTAZIONE OPERE 1918                                         229




            ENRICO CAVIGLIA

            Finale Ligure, Savona, 1862 – Ivi, 1945

            Enrico Caviglia, allievo del Collegio Militare San Luca di Milano dal 1877, entrò poi nell’Accademia Militare di Torino da cui
            uscì nel 1883 sottotenente di artiglieria. Nel 1888 fu inviato in Eritrea, dopo la strage di Dogali, con il grado di tenente del
            20° Reggimento e qui rimase fino al 1889. Tornato in Patria frequentò la Scuola di Guerra, poi, lasciata l’arma di artiglieria,
            entrò nel Corpo di Stato Maggiore. Agli inizi del 1896 di nuovo in Eritrea si unì al comando del generale Oreste Barattieri
            giusto in tempo per assistere alla battaglia di Adua. Scampato al disastro, chiese di essere sottoposto a un’inchiesta che lo
            liberò da ogni sospetto di non aver compiuto sino in fondo il proprio dovere di combattente. Dal 1904 fu addetto militare
            a Tokio dove poté vivere da vicino la guerra russo-giapponese, la cui esperienza gli valse durante il Primo conflitto modiale
            e successivamente a Pechino. Al momento di tornare in Italia nel 1911, scelse di farlo in un modo certamente inconsueto:
            rientrò attraversando a cavallo l’Asia fino a Yalta sulle sponde del Mar Nero. L’anno seguente si recò nuovamente in Africa,
            questa volta in Libia, dove assolse un ruolo più che altro organizzativo, occupandosi, dopo la pace, dello sgombero delle
            truppe turche dalla regione controllata ora dall’Italia. Rientrato in Patria nei primi mesi del 1913, fu destinato a Firenze come
            direttore in seconda nell’Istituto Geografico Militare. Allo scoppio della guerra, con il ruolo di maggior generale, assunse il
            comando della Brigata Bari che operava in prima linea sul Carso e prese parte ai combattimenti di Bosco Lancia e di Bosco
            Cappuccio. Nel giugno 1916 fu in Trentino con la 29^ Divisione per contrastare la Strafexpedition e la sua conduzione delle
            operazioni fu premiata con la nomina a cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Nel luglio 1917, con il XXIV Corpo d’Armata
            prese parte all’undicesima battaglia dell’Isonzo. La gestione dell’offensiva sulla Bainsizza da parte di Caviglia risultò una delle
            più efficaci della guerra, con notevoli guadagni territoriali. Anche nella drammatica giornata di Caporetto il generale ligure
            dimostrò le sue eccellenti capacità di manovra: sempre vicino alle proprie truppe, nonostante la forte pressione nemica,
            riuscì a portare ancora in buona efficienza prima sul Tagliamento e poi sul Piave le sue divisioni e quelle superstiti del XXVII
            Corpo d’Armata di Badoglio travolte dall’attacco austro-tedesco. Per il suo comportamento durante la ritirata ebbe la Medaglia
            d’Argento. Tuttavia, il 22 novembre il XXIV Corpo fu sciolto da Badoglio divenuto nel frattempo sottocapo di Stato Mag-
            giore, decisione che Caviglia criticò molto duramente. Dopo la battaglia del Solstizio nel giugno 1918 sostituì il generale Giu-
            seppe Pennella al comando dell’8^ Armata, l’unità che il 29 ottobre ebbe un ruolo di primo piano nella battaglia di Vittorio
            Veneto dando un apporto fondamentale alla vittoria decisiva. La condotta in guerra, il giudizio sprezzante nei confronti della
            classe dirigente, l’attenzione per quanti nel lungo conflitto avevano sofferto e patito – in particolare la piccola e media bor-
            ghesia – gli aprirono la strada nel campo politico.
            Nominato senatore, fu ministro della Guerra nel governo Orlando, poi il 21 dicembre del 1919 ebbe l’incarico di commissario
            straordinario per la Venezia Giulia al comando dell’8^ Armata. In questo ruolo risolse con intelligenza e fermezza la crisi di
            Fiume. La sua azione fu però compromessa da un malaccorto discorso alla Camera, dove addossò la responsabilità dello sgom-
            bero di Fiume al governo Giolitti, colpevole di averlo ingannato sulla reale portata delle concessioni territoriali all’Italia. In
            Senato, il 5 dicembre 1924 si astenne dal confermare la fiducia al governo Mussolini perché lo considerava un ostacolo per la
            pacificazione degli animi e per il ritorno all’ordine. La sua opposizione non andò però oltre, se non nel 1925 in occasione della
            nomina di Badoglio a Capo di Stato Maggiore generale. Pronunciò allora a Palazzo Madama un discorso molto duro accusando
            Badoglio di essersi comportato a Caporetto come un caporale. Anche nella vita privata confermò la sua distanza dal Governo
            mantenendo rapporti di amicizia con alcuni antifascisti dichiarati tra i quali Carlo Sforza. All’approssimarsi della Seconda guerra
            mondiale nel 1940, Caviglia manifestò apertamente le proprie critiche all’alleanza con la Germania hitleriana nella prefazione al
            volume dello storico e amico Alberto Cappa La guerra totale e la sua condotta: politica e strategia nel XX secolo dove, convinto sostenitore
            dell’amicizia franco-italiana, ricordava il valore della collaborazione vittoriosa con le nazioni liberali nella Grande Guerra in op-
            posizione a quella perdente dei governi autoritari degli Imperi centrali. Nelle drammatiche giornate che seguirono l’8 settembre
            1943, Caviglia, ormai prossimo agli ottantun anni, ebbe ancora un ruolo di rilievo: giunse a Roma e cercò di assumere respon-
            sabilità di governo senza però riuscirvi, nonostante Vittorio Emanuele III, in navigazione sull’incrociatore Baionetta, avesse dato
            parere favorevole con un telegramma che non arrivò mai a destinazione, intercettato forse dal suo storico nemico Badoglio.
            Senza nessuna possibilità di difendere la Capitale dalle truppe tedesche, Caviglia firmò la capitolazione imposta da Kesserling
            che dichiarò Roma città aperta, intesa che tuttavia non fu rispettata e che portò all’occupazione della Capitale da parte delle
            truppe naziste. Il maresciallo Caviglia ritornò a Finale Ligure e ivi morì nel 1945. La salma fu traslata, il 21 giugno 1952, in un
            mausoleo alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
   226   227   228   229   230   231   232   233   234   235   236