Page 231 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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                      In realtà Gyulai, il quale, nonostante le sue tirate a favore di una strategia
                   ‘annientatrice’, era tuttavia più incline ad una condotta attendista, pronta tutt’al
                   più a sfruttare gli errori del nemico (era affezionato agli schemi radetzkyani
                   della difensiva-offensiva condotta operando per linee interne), condusse la
                   sua avanzata con i piedi di piombo e non andò al di là, anche a causa delle
                   condizioni meteorologiche assai sfavorevoli (piovve quasi ininterrottamente
                   lungo le prime settimane della guerra) e alla decisione del governo piemontese
                   di inondare la pianura, di alcune puntate contro lo schieramento nemico, la
                   più impegnativa e minacciosa delle quali, quella contro Torino, fu interrotta
                   il 9 maggio prima ancora che fosse raggiunta Ivrea. Il 14 maggio, quando gli
                   alleati potevano contare su oltre 160.000 uomini contro i 125.000 austriaci,
                   Napoleone III arrivò ad Alessandria e assunse il comando delle operazioni:
                   iniziava la seconda fase, quella offensiva.
                      La manovra, che portò gli alleati a Magenta, non è stata particolarmente
                   apprezzata  dalla  storiografia  francese,  il  professor  Avenel  compreso,  ma
                   credo che si possa affermare che, quanto meno sul piano strategico, abbia
                   avuto un respiro all’altezza di quelle del grande zio. Il suo obiettivo era in
                   effetti quello di costringere gli austriaci ad abbandonare la Lombardia senza
                   poter dare battaglia se non in condizioni assai sfavorevoli. Anche a Solferino
                   Napoleone III, se fu sorpreso, al pari di Francesco Giuseppe, da quella che
                   nacque  come  una  battaglia  d’incontro,  che  non  era  stata  prevista  né  dagli
                   uni né dagli altri, si comportò decisamente meglio del suo ‘collega’: mentre
                   l’imperatore d’Austria ebbe una piena consapevolezza del fatto che il suo
                   esercito era impegnato in una battaglia decisiva soltanto intorno alle 11 del
                   mattino,  Napoleone  III  aveva  modificato  il  suo  schieramento  quattro  ore
                   prima in modo da poter sfondare - come in effetti avverrà - in direzione di
                   Solferino.
                      Moltissime, come abbiamo sentito, le cause della decisione di Napoleone
                   III  di  concludere  l’armistizio,  che  pose  fine  alla  guerra,  e,  soprattutto,  i
                   preliminari di pace di Villafranca. Mi soffermerò, nei pochi minuti, che mi
                   rimangono,  su  una  contraddizione  strutturale  tra  la  politica  o,  meglio,  la
                   propaganda politica di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II e lo strumento
                   militare, una contraddizione che spiega anche il ruolo della Società nazionale
                   e di Garibaldi messo in evidenza dalle relazioni di Anna Maria Isastia e di
                   Aldo A. Mola. La guerra era ‘venduta’ nelle dichiarazioni, nei manifesti e
                   nei  pamphlets  come  una  guerra  nazionale,  combattuta  per  l’indipendenza
                   dell’Italia (l’unità rimaneva, salvo che per una minoranza democratica assai
                   poco influente, ancora fuori del quadro delle prospettive). Tuttavia le forze
                   armate francesi e piemontesi si presentavano all’appuntamento del 1859 con
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