Page 175 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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Il declIno InternazIonale e la fIne del regno BorBonIco 175
diplomazia borbonica. Nella diplomazia napole-
tana non mancavano uomini leali e di un certo
valore, quali ad esempio Antonio Winspeare
aggiunto alla Legazione di Parigi e in seguito
destinato a New York, Emidio Antonini rappre-
sentante a Berlino e Vincenzo Ramirez a Vienna.
Si trattava di diplomatici non privi di intelligen-
za e capacità, ma la loro azione, assolutamente
priva di direttive generali e particolari ed affi-
data esclusivamente alle loro personali intui-
zioni, appariva limitata e priva di efficacia.
Non mancavano al tempo stesso anche diplo-
matici assolutamente incapaci a partire dallo
stesso responsabile della Direzione degli Affari
Esteri del Regno, il principe di Scilla, nomina-
to ministro nel 1840 su pressione del potente
segretario particolare del re, l’abate Giuseppe
Caprioli.
L’aspetto che mi preme segnalare è che strutture e uomini della politica
estera napoletana apparivano assolutamente deboli, poco incisivi e assoluta-
mente impossibilitati persino ad orientare le scelte del sovrano. Questa fragi-
lità e questa debolezza affondavano le loro radici proprio nella stessa Corte e
nella visione fortemente datata che il re aveva delle relazioni internazionali,
della gestione della politica estera e soprattutto della sua personalissima
angusta visione del servizio diplomatico in generale e dei diplomatici in par-
ticolare. Per il re i diplomatici all’Estero erano, se ci riuscivano, semplici
informatori o altrimenti inutili osservatori. I diplomatici stranieri a Napoli
erano invece dei molesti intriganti che bisognava ricevere ogni tanto. Molto
spesso i suoi diplomatici erano lasciati senza direttive precise, senza istruzio-
ni e spesso anche senza fondi. Senza istruzioni ma soprattutto con notevoli
problemi di comunicazione diretta con il re. Per esempio Paolo Ruffo, prin-
cipe di Castelcicala nato in Inghilterra, educato a Eton, poco più che venten-
ne aveva combattuto a Waterloo nell’esercito britannico. Giovane diplomati-
co in servizio a Londra aveva subito avvertito (purtroppo non ascoltato) il
governo napoletano dei pericoli insiti nel nuovo corso impresso da Palmerston
alla politica inglese e, soprattutto, aveva richiamato l’attenzione sulle inevi-
tabili complicazioni siciliane. Dal suo canto invece il Piemonte di Cavour
continuava a tessere un’ampia tela diplomatica e ad accrescere la sua visibi-
lità sulla scena internazionale, culminata poi nell’importante Congresso di