Page 36 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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36         la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana



             Avarna, ambasciatore italiano a Vienna, il quale già il 2 marzo del 1910, in un
             dispaccio inviato all’allora Ministro degli Esteri Francesco Guicciardini, aveva
             scritto: “Siccome il compenso che ci competerebbe in caso di espansione dell’Au-
             stria-Ungheria nella penisola balcanica dovrebbe essere commisurato agli acqui-
             sti territoriali che questa Potenza stesse per fare, esso potrebbe, secondo i casi,
             comprendere o una rettifica della frontiera orientale (cioè i territori che formano
             la Contea principesca di Gradisca e Gorizia) o la cessione del Trentino od anche
             le due cose insieme”.
                Il problema divenne attuale nelle settimane che seguirono l’attentato di Sara-
             jevo. Nel comunicare il 24 luglio del ‘14 a Vittorio Emanuele III quali sarebbero
             stati i punti fermi che avrebbero determinato la posizione di Roma nel corso della
             crisi in atto, il Ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano, dopo aver ribadito
             che l’Italia non aveva alcun “obbligo di partecipare all’eventuale guerra”, una
             partecipazione che in quel momento considerava comunque “eventuale ma non
             probabile”, chiariva che occorreva “assicurar[si] prima di appoggiare anche diplo-
             maticamente i nostri alleati, che essi accettano la nostra interpretazione dell’art.
             7° del trattato della Triplice Alleanza”. E a quale risultato questa “interpretazione”
             dovesse giungere, lo chiarì in termini estremamente espliciti l’ambasciatore italia-
             no a Berlino Bollati nel corso di un colloquio avuto il 24 luglio con il Ministro de-
             gli Esteri tedesco Jagow quando fece presente al suo interlocutore che l’Austria-
             Ungheria, “in cambio di un ingrandimento territoriale da essa conseguito a spese
             della Serbia o del Montenegro” avrebbe dovuto cedere a Roma “una parte delle
             provincie italiane” ancora sotto il suo dominio.
                Come è facile notare, il governo italiano aveva quindi chiarito la propria po-
             sizione diplomatica prima ancora che la guerra avesse concretamente inizio, e fu
             ancora su questa base che nei mesi seguenti diede avvio ad un confronto serrato
             con Vienna; questa, da parte sua, in un primo momento negò addirittura la possi-
             bilità che l’impegno previsto dall’art. VII della Triplice potesse avere alcun valore
             in una situazione come quella venutasi a creare in quel momento e poi, quando
             fu indotta dalle pressioni esercitate da Berlino ad assumere un atteggiamento più
             possibilista, escluse comunque che oggetto di negoziato potessero divenire ter-
             ritori che facevano parte dell’Impero degli Asburgo. Questo confronto a tre tra
             l’Italia, l’Austria-Ungheria e la Germania in veste di mediatrice, durò fin quasi al
             momento nel quale Roma si decise, con la firma del Patto di Londra, a schierarsi
             al fianco dell’Intesa, ma nella sostanza si rivelò inconcludente. Anche l’arrivo a
             Roma dell’ex Cancelliere tedesco Bernhard von Bülow con il preciso mandato di
             impedire, grazie ai molti legami dei quali godeva nel mondo politico della Capi-
             tale, che l’Italia legasse le proprie sorti a quelle dell’Intesa, non ottenne l’effetto
             sperato: le offerte degli Imperi Centrali, quando non risulteranno comunque tardi-
             ve, rimasero sostanzialmente nel vago e prive di una vera garanzia che sarebbero
             divenute reali: tutto veniva infatti rinviato al momento nel quale il conflitto si
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