Page 38 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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LE DONNE NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE 38
dell’innato pacifismo. “Trattare del ruolo svolto dalle donne all’interno dei gruppi
pacifisti, esaminare la loro attività nel promuovere associazioni femminili per la pace,
operando nell’ambito di organizzazioni nate per altri fini, ma che si sono occupate
anche di pace, apre subito un interrogativo. Esiste un contributo specificamente fem-
minile al pacifismo?… qualitativamente diverso da quello prodotto dagli uomini, pro-
prio in quanto donne? L’idea che esista una sorta di rapporto privilegiato tra le donne
e la pace è una questione che quasi tutti coloro che hanno affrontato questo tema
hanno ammesso … Esiste anche un filone di studi femministi che, dopo aver a lun-
go negato il legame donna-pace o perché troppo spesso smentito dai fatti, o perché
basato su stereotipi che contesta, lo ha recuperato poi magari in forma propositiva
come un dover essere delle donne, come segno di uno specifico femminile all’interno
di un percorso di liberazione … Per altre autrici invece il rapporto donna-pace resta
un nodo problematico, una domanda che legittimamente ci si può porre, ma che per
produrre risposte attendibili richiede ulteriori indagini storiche oltre che socio-antro-
pologiche da fare senza pregiudiziali ideologiche …” .
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Oltre al pacifismo, la categoria più spesso usata per spiegare il rapporto fra donne
e guerra è stata quella dell’estraneità. In una prospettiva diacronica, infatti, pressoché
tutto, con scarse eccezioni, estraniava nella pratica quotidiana le donne dalla guerra e
dalla preparazione ad essa. La non frequentazione delle sedi politiche e diplomatiche
almeno fino a tutto l’Ottocento, (la carriera diplomatica fu una delle ultime ad essere
consentita, come quella di giudice), dove i conflitti maturavano, dove si stringevano
alleanze, si stabilivano tregue, si firmavano trattati, armistizi, rese e si decidevano
guerre ad oltranza fu, insieme, una delle cause ed effetto dell’estraneità.
2 Scarantino A., Donne per la pace. Maria Bajocco Remiddi e l’Associazione internazionale madri unite per la pace
nell’Italia della guerra fredda, Milano, 2006, pp. 59-60. Del resto sarebbe lungo- scrive l’autrice - l’elenco
di quanti a ridosso delle due guerre mondiali vollero vedere nelle donne le depositarie della pace,
l’antidoto alla violenza e all’odio. Se lo scrittore pacifista Romain Rolland nel 1915 invitava le donne
europee ad essere la pace vivente in mezzo alla guerra, l’Antigone eterna che si rifiuta all’odio e che,
quando essi soffrono, non sa più fare distinzioni tra i suoi fratelli nemici, dopo la seconda guerra
mondiale non mancò chi propose di sostituire le donne agli uomini nel governo delle nazioni, nella
convinzione che la causa della pace ne avrebbe tratto grande giovamento. E in fondo anche coloro
che di fronte al trauma della prima guerra mondiale rimproverarono alle donne di non essersi impe-
gnate a sufficienza per impedire la guerra o addirittura di averla sostenuta, sottintendevano la stessa
idea che dalla donna come tale indipendentemente dalle sue convinzioni politiche e ideologiche ci si
attendeva un ruolo di pacificatrice. Il suo silenzio o peggio ancora il suo impegno in favore dell’in-
tervento rappresentavano in qualche modo anche un tradimento della sua stessa natura, ivi, p. 59.
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