Page 39 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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Un rapporto, quello fra donne e guerra segnato dall’estraneità, ma anche, storica-
mente parlando, dal coinvolgimento e quindi ambiguo. Considerate parte dovuta del
bottino, “inutili” negli assedi al pari di vecchi e bambini, le donne hanno prevalente-
mente subito dalla guerra contraccolpi negativi senza capirne né le ragioni politiche,
né ricavarne compensi come i soldati nelle milizie mercenarie, né gratificazioni sim-
boliche riservate in ogni epoca ai combattenti e agli eroi. E se i luoghi, le vicende,
i simboli legati al rapporto donna-guerra sono tanti e diversi, non minori sono le
differenze, sottospecie quasi, della realtà politica e ideologica della guerra. Da un
comune scenario di violenze, la guerra ha assunto volta a volta sembianze diverse: di
faida religiosa (così le crociate, così i massacri tra protestanti e cattolici, così l’odierna
guerra santa islamica), di lotta contro le tirannie e con lo straniero che nella frammen-
tazione politica italiana del quattro-cinquecento poteva essere il regnicolo confinante;
di guerra difensiva contro il tiranno austriaco dell’Italia risorgimentale, e quello italo
tedesco nella lotta partigiana. L’analisi dell’interventismo femminile durante la prima
guerra mondiale si presenta quindi particolarmente ricca di spunti. Si ritrovano alcuni
temi che hanno caratterizzato per secoli la questione femminile, ad esempio quello
che potremmo definire di tipo “risarcizionista”. Il riconoscimento cioè di attitudini e
compiti militari era visto come la riparazione di una discriminazione e un passo avanti
verso l’uguaglianza, anche in termini fisici. Una delle novità era costituita dal fatto
che un’azione comune femminile, portata avanti spesso da organismi collettivi quali
le associazioni, si raggruppava attorno all’ideale di una patria già unita e non da farsi,
come era stato nel risorgimento, non di un regnicolo e staterello come si era verificato
quando l’Italia aveva rappresentato un bottino da spartire.
Le voci maschili che sollecitarono un contributo femminile alla guerra non fu-
rono poche e, per evitare rischi di debordaggio delle iniziative femminili, facevano
rientrare ogni possibile iniziativa nel consueto ambito di esplicazione delle “virtù
muliebri”. In altre parole, lo scenario di guerra era presentato come una famiglia
“allargata” dove i ruoli e i sentimenti erano simili a quelli espletati nel focolare dome-
stico. Dovevano quindi trionfare i sentimenti tradizionali dell’animo femminile quali
l’abnegazione, lo spirito di sacrificio, la carità, la pazienza e la dolcezza nel risollevare
gli animi e guarire le ferite. Ma come spesso accade nella storia delle donne, esse non
solo utilizzarono spazi inaspettatamente aperti, ma riuscirono anche a dimostrare
una volta finito il conflitto e questa fu una novità, di saper uscire dal circolo dell’o-
blazione assoluta, chiedendo una ricompensa per il lavoro svolto e le prove fornite.
Quella maggiore, il diritto di voto, per il quale si lottava già da più di cinquant’anni,
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