Page 43 - Le donne nel primo conflitto mondiale - Dalle linee avanzate al fronte interno: La grande guerra delle italiane - Atti 25-26 novembre 2015
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          condizioni per il formarsi di una “morale di battaglia e per poter vivere come unità
          spirituale in una nazione che per la prima volta nella storia vedeva riunite in pro-

          porzioni mai viste energie spirituali, energie materiali”. Era ormai tramontato per la

          Labriola un concetto della politica legato unicamente alle “vaste opere di dottrina”
          o alle “scaramucce del quotidiano gioco della politica spicciola” che aveva sempre
          interessato poco le donne, le quali abbandonavano il riparo delle mura domestiche
          senza più dubbi e incertezze, spinte sia dall’amore del vento nuovo, sia dal dovere di
          abbracciare la verità spirituale finora celata nella nazione. Iniziava qui, in questi mesi
          che preludevano l’entrata in guerra, il massimo distacco della Labriola da quella parte
          del femminismo pacifista che riteneva la guerra esclusivo frutto della società maschile
          e quindi lontana dalle donne. Al contrario, la Labriola proprio nell’ora della guerra
          vedeva finalmente le sue simili non escluse dalla comunanza politica, ma parte attiva
          di essa. “Non troviamo quella società maschile che noi abbiamo diritto e dovere di
          combattere nella vita quotidiana perché a noi avversa e perché particolaristica. Tro-
          viamo la società nostra, la nazione nostra, lo Stato che sa dimenticare di essere in
          gran parte ordinamento di classi privilegiate per assurgere ora a puro esponente della
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          volontà nazionale”  .
             Il femminismo pacifista commetteva quindi l’errore storico di negare il valore
          dello Stato nel momento in cui essopersonificava lo spirito delle nazioni ed erano er-

          rati anche i termini in cui il “femminismo dai valori puri” come lo definiva la giurista,

          impostava il conflitto. Esso negava cioè il valore dello Stato in nome della “natura”
          che rappresentava le donne molto più della polis, in quanto il fatto stesso della mater-
          nità le avvicinava a quell’avvenimento astorico rappresentato dalla riproduzione della
          specie. La Labriola riteneva che le donne fossero state escluse dalla diretta partecipa-
          zione allo Stato e incluse in una sfera importante per l’attività dello spirito qual era la
          famiglia, ma collegata in modo insufficiente con la sfera della vita statale. La scarsa
          “coscienza riflessa” del valore della nazione dimostrata finora dalle donne, frutto
          della lunga e secolare separazione fra vita privata familiare e vita pubblica e politica,
          poteva essere radicalmente mutata dalla guerra .
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             La Labriola, infatti, benché considerasse l’azione in favore della pace un trionfo
          della civiltà e degli elementi sociali superiori su quelli inferiori, iniziò, dopo il 1905,
          un embrionale processo giustificativo della guerra, condannata più per le sue con-
          seguenze che nella sua essenza. Non appoggiava ancora apertamente la guerra, ma

          6   Ivi, p.449.
          7  Taricone F., Teresa Labriola. Biografia politica di un’intellettuale fra Ottocento e Novecento, Milano 1994.







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