Page 412 - Il 1917 l'anno della svolta - Atti 25-26 ottobre 2017
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             stessa direzione. Individuata nella “deficienza di artiglierie e più specialmente
             di artiglieria pesante e delle relative munizioni” il motivo per cui le offensi-
             ve dell’Esercito italiano non avevano riportato ancora un successo completo,
             proponeva di concentrare sull’Isonzo aliquote importanti di artiglieria pesante
             inglese e francese per infliggere agli austriaci una sconfitta decisiva e scacciarli
             da Trieste e da Pola, ciò che avrebbe significato la fine della flotta asburgica. A
             tal fine l’Esercito britannico avrebbe potuto contribuire con 300 pezzi pesanti
             ed anche la Francia avrebbe potuto fare qualcosa: con tali rinforzi la disfatta au-
             striaca appariva certa. E mentre in Francia si era sempre combattuto contro la più
             forte delle potenze tedesche, dal fronte italiano si sarebbe colpito la più debole.
             “E noi sappiamo che la Germania è temibile finché ha l’Austria alle spalle. Se
             l’Austria cade, anch’essa è condannata”. Il premier inglese andò anche oltre e,
             rivolgendosi a Cadorna, gli chiese se “avrebbe avuto bisogno soltanto di cannoni
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             o anche di alcune divisioni di fanteria” . Lloyd George si aspettava di ricevere
             un forte, immediato e convinto sostegno dal Comandante dell’Esercito italiano,
             dal momento che questi aveva già per conto suo auspicato rinforzi alleati per una
             offensiva in Italia. Il Capo militare italiano, infatti, a fine dicembre 1916, aveva
             definito il fabbisogno di artiglierie per l’auspicata offensiva, e lo aveva precisato
             in 108 pezzi di grosso calibro e 537 di medio come richiesta minima, e in 280
             pezzi di grosso calibro e 1.060 di medio come richiesta massima. Ma Cadorna
             cominciò col rilevare “che la conquista di Trieste e dell’Istria avrebbe costituito
             senza dubbio un grande risultato, ma che, dal punto di vista strategico, sarebbe
             stato forse ancor meglio avanzare su Lubiana e sulla via di Vienna”: conveniva
             quindi “attaccare a fondo sulle Alpi Giulie, per raggiungere l’obiettivo di Trie-
             ste e minacciare la linea della Sava”; pose poi la questione del tempo durante
             il quale avrebbe potuto contare sull’artiglieria pesante alleata, e dichiarò che
             se avesse attaccato intorno al 20 febbraio avrebbe avuto bisogno di disporne
             sino a primavera avanzata poiché – disse – “un rinforzo di 300 pezzi, concesso


                mento alleato, al tavolo della pace, del Patto di Londra, Archivio dell’Ufficio Storico dello
                Stato Maggiore Esercito, Roma, fondo L 3, busta 50, fasc. 2.
             7  Come noto, l’offensiva Nivelle, sferrata il 16 aprile 1917, ebbe un esito molto negativo. Im-
                pietosamente, Martin Gilbert (La grande storia della prima guerra mondiale, Mondadori-Le
                scie, Milano, 1998, p. 393-94) ha scritto: “…i francesi, con venti divisioni dispiegate lungo un
                fronte di 40 chilometri, attaccarono… i tedeschi attestati sul fiume Aisne. L’offensiva… fu un
                disastro, benché per la prima volta i francesi impiegassero i carri armati. Nivelle aveva previ-
                sto un’avanzata di 10 chilometri: dovette fermarsi dopo 600 metri. Aveva previsto circa 15.000
                morti, ce ne furono quasi 100.000. Dei 128 carri armati entrati in azione, 32 furono messi fuori
                uso il primo giorno. Dei 200 aerei che avrebbero dovuto alzarsi in volo, ne furono disponibili
                soltanto 131 quando iniziò l’azione, ed ebbero la peggio contro i bombardieri tedeschi. Non
                un solo dettaglio del piano andò come previsto, neppure l’assalto alle trincee tedesche da parte
                dei soldati di colore: i senegalesi, decimati dalle mitragliatrici, ruppero le file e si diedero alla
                fuga”.
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