Page 234 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
di prendere i voti. Nell’ottobre 1963 indossò il saio dell’Ordine Francescano, con il
nome di Padre Leone.
L’attività pastorale svolta tra i giovani estremamente politicizzati di Omegna (VB)
e la sua appassionata vicinanza agli operai della zona gli fecero meritare la fama di
«prete rosso», al punto tale da indurre il Vescovo di Novara a revocargli l’autoriz-
zazione a predicare. Nel 1969, dopo essersi offerto, con successo, quale mediatore
durante una rivolta nelle «Carceri Nuove» di Torino , chiese e ottenne dai suoi
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superiori di essere inviato come missionario in Bolivia. A La Paz, al verificarsi di un
sanguinoso colpo di Stato militare contro il regime progressista del Paese, si schierò
apertamente con gli oppositori costituiti da studenti, operai e contadini. Gli scontri
lasciarono sul campo centinaia di morti e feriti, tra questi ultimi lo stesso padre
Girotto che, a quel punto, scelse di passare in clandestinità, entrando nelle file dei
230 rivoluzionari. In seguito, partecipò anche ad azioni di guerriglia contro il regime di
Pinochet, a Santiago del Cile, ove venne nuovamente ferito. Trovato ricovero nella
locale Ambasciata italiana, Girotto fu rimpatriato insieme ad altri profughi cileni. Per
la sua militanza tra i guerriglieri sudamericani e per essersi sottratto al suo mandato
pastorale, venne espulso dall’Ordine Francescano.
La logorante esperienza maturata tra i guerriglieri andini, che lottavano contro re-
gimi dispotici e sanguinari, in contrapposizione all’atrocità dei fatti criminosi posti
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18 Rivolta alle «Nuove» ieri pomeriggio. Oltre duecento detenuti del terzo braccio si sono rifiutati
di rientrare in cella dopo l’ora d’aria. Hanno invaso i tre cortili del passeggio, si sono seduti per
terra e hanno chiesto di parlare con il direttore dott. Di Piazza. Gli hanno esposto i motivi della
protesta: «Chiediamo che vengano presto discussi ed approvati i nuovi Codici – quello penale e
quello di procedura – di cui si parla da tempo». La notizia della rivolta si è diffusa presto a tutto
il carcere (che ospita attualmente mille persone in attesa di giudizio o che stanno scontando pene
lievi) e i detenuti della «prima rotonda» hanno manifestato la loro solidarietà battendo le gavette
contro le inferriate e le porte. Il rumore e le grida si sentivano da corso Mediterraneo. Appena
scoppiata la rivolta il direttore ha avvertito il Ministero di Grazia e Giustizia, poi si è recato nel
cortile con il sostituto procuratore della Repubblica dott. Toninelli e il comandante degli agenti
di custodia capitano Raffa. La loro presenza e l’intervento di 150 guardie ha evitato che la ma-
nifestazione degenerasse. Dopo un paio d’ore di discussione, i detenuti sono rientrati in cella: le
loro richieste sono state trasmesse nella stessa serata al Ministero. Per misura precauzionale, ieri
sera sono stati sospesi tutti i permessi di uscita alle guardie e i 180 agenti effettivi e i 40 allievi che
stanno seguendo un corso pratico hanno trascorso la notte alle «Nuove» (tratto dal quotidiano
«La Stampa», 4 luglio 1968).
19 In particolare:
– il mattino del 17 giugno 1974, un commando delle BR irrompeva nella sede del Movimento
Sociale Italiano, allo scopo di prelevare documenti e schedari degli iscritti. Qualcosa di analogo
era già accaduto due anni prima nella sede della Cisnal di Mestre, obiettivo dell’antifascismo mi-
litante che, in quella prima fase, caratterizzava le BR, ma questa volta rimanevano uccisi a colpi
di pistola, due uomini che si trovavano nell’edificio: Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Era
il primo omicidio delle Brigate Rosse, in un Veneto dove il fermento antagonista era già elevato, e
gli attentati dell’Autonomia Organizzata stavano per iniziare. Le prime indagini non produssero
grossi risultati; venne addirittura accreditata negli ambienti padovani, la tesi di uno scontro tra
fascisti, e si dovettero attendere i primi anni ’80 per far piena luce sull’episodio, grazie alla colla-
borazione di alcuni brigatisti, a iniziare dal piemontese Alfredo Buonavita, inviato in supporto alla
colonna veneta, in quanto uno dei pochi militanti a disporre di una regolare patente di guida. Le
indicazioni del Buonavita consentirono ai Carabinieri di disvelare nei dettagli il tragico episodio.
Emerse così che le vittime erano state soppresse al primo accenno di reazione ma, soprattutto, che
l’uccisione aveva determinato un’insanabile frattura tra le BR e la nascente Autonomia. Le prime,
decise ad assumersi comunque la paternità e la responsabilità di quello che era accaduto, avevano
infatti rivendicato l’azione telefonicamente e con un volantino; la seconda, ritenendo prematuro
e controproducente quel livello di scontro, avevano tentato di accreditare una faida interna ai
fascisti. Sino a quel momento, l’Autonomia Organizzata, sorta sulle ceneri di Potere Operaio, era
infatti simbiotica con la colonna veneta delle BR, incubata nel Petrolchimico di Porto Marghera,
tanto che da POT OP provenivano due dei partecipi all’azione, Susanna Ronconi e Fabrizio