Page 443 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
P. 443
443
aCta
vimento di liberazione sloveno e croato di riempire il vuoto di potere suscitato dal collasso
delle istituzioni italiane e dal ritardo con cui i tedeschi procedettero all’occupazione del ter-
ritorio, il che consentì all’amministrazione partigiana di insediarsi e di reggersi nell’interno
dell’Istria per circa un mese.
Ciò è indubbiamente vero, ma lascia in ombra il fatto che, al di là dell’effettiva parte-
cipazione di massa alle operazioni belliche ed all’attività dei “poteri popolari”, le radicali
esperienze dell’autunno 1943 vennero vissute dalla popolazione slava dell’Istria come un
ribaltamento epocale, che conferiva il potere a chi fino ad allora ne era stato escluso o, addi-
rittura, vittima. In uno studio recente ed assai più equilibrato di tante altre ricostruzioni di ieri
e di oggi, uno storico croato ha sottolineato come la rilevanza dei “giorni di settembre” stia
nel fatto che essi “hanno rappresentato l’esplosione, la rottura della rappresentazione mentale
della sopportazione e della tolleranza s’ciavona” .
1
Quanto agli eventi, il comportamento tenuto dai poteri popolari sembra aver seguito,
con un certo grado di approsimazione, uno schema già collaudato nel corso della guerra di
liberazione / guerra civile jugoslava. In quel contesto, quando l’equilibrio delle forze ne dava
la possibilità, le unità di tito procedevano alla costituzione di zone libere, inevitabilmente
effimere, ma nondimeno importanti, perché consentivano – oltre che di soddisfare necessità
logistiche – anche di favorire impianto e radicamento delle nuove istituzioni espresse dal
movimento partigiano, attraverso la creazione di un tessuto amministrativo, l’esercizio del
diritto di leva militare e l’eliminazione degli avversari. Questi ultimi potevano essere diversi,
in genere riconducibili ai domobranzi sloveni, agli ustascia croati ed ai cetnici serbi, ma tali
definizioni non vanno intese in maniera rigida perché, a seconda dei momenti e dei luoghi,
per i partigiani ciò che contava era “smascherare” e liquidare varie tipologie di antagonisti,
che non comprendevano solo i nemici in armi, ma spaziavano dalle bande concorrenti alle
élites locali diffidenti nei confronti del comunismo o che, semplicemente, pressate da richie-
ste speculari di obbedienza, si erano esposte con la parte sbagliata al momento sbagliato.
Tutti costoro venivano considerati “nemici del popolo” e la loro sorte era segnata.
In Istria accadde più o meno lo stesso. Il principale piano d’azione fu quello politico,
l’unico in cui i partigiani raggiunsero in pieno gli obiettivi che si erano prefissi, con le di-
chiarazioni di annessione del Litorale alla Slovenia e dell’Istria alla Croazia: si trattava di
dichiarazioni niente affatto platoniche, perché stabilivano la legittimità esclusiva delle isti-
tuzioni afferenti al movimento di liberazione e consentivano quindi di considerare chi vi si
opponesse come traditore e fomentatore di guerra civile.
Sul piano repressivo, c’era solo l’imbarazzo della scelta. L’intera classe dirigente italiana
era sicuramente avversa al nuovo potere, e quindi andava colpita. Non si poteva evidente-
mente eliminarla tutta, perché si trattava di decine di migliaia di persone, ma i poteri popo-
lari si sforzarono di dare un segnale forte che i tempi erano cambiati. Le direttive politiche
prevedevano che la repressione si articolasse su due livelli: le uccisioni e la deportazione nei
campi di lavoro, ma le cose andarono diversamente. Le fonti sono concordi nel segnalare la
grande confusione in cui precipitò la dirigenza del movimento partigiano, formata da quadri
ancora inesperti . Sul piano militare, ciò condusse alla scelta insensata di affrontare in cam-
2
1 Darko Dukovski, Rat i mir istrarski, Cash, Pula 2001, p. 327
2 Vedi in particolare il rapporto del capitano Zvonko Babič-Zulja al Centro informativo regionale per il Litora-

