Page 442 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
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442                                XXXIV Congresso della CommIssIone InternazIonale dI storIa mIlItare • CIHm

           Violenza di guerra, violenza di pace, il caso delle foibe
           giuliane

           RAOuL PuPO




              Le ondate di violenza che dal 1943 al 1945 hanno toccato e in alcuni casi travolto i ter-
           ritori alto-adriatici, sono riconducibili in parte alle logiche di guerra ed in parte a quelle del
           dopoguerra. in questo secondo caso, tali violenze non hanno rappresentato soltanto una coda
           del conflitto appena concluso, ma hanno assunto una valenza strategica, in quanto costituenti
           degli assetti politici del dopoguerra medesimo, secondo una linea di tendenza ben evidente
           in tutta quella che al tempo costituiva l’area di riferimento della Venezia Giulia, e cioè la
           Jugoslavia di tito.
              Già questo primo inquadramento suggerisce quanta attenzione sia necessaria, per evitare
           fraintendimenti anche gravi, quando si esaminano gli eventi che la storiografia e più ancora
           la pubblicstica italiana hanno complessivamente denominato foibe, secondo un approccio
           che, se da un lato ha consentito di cogliere bene gli elementi di continuità fra le diverse fasi
           del fenomeno, come pure le sue specificità locali, per l’altro ha trascurato spesso vuoi le sue
           articolazioni, vuoi il suo rimandare a situazioni comuni lungo una larga fascia continentale
           che dal Baltico arriva al Mediterraneo. Fin da un primo sguardo, ad esempio, è possibile
           notare che la tipologia delle vittime esclude che alle foibe si possa senz’altro applicare la ca-
           tegoria della violenza contro civili, perché una parte consistente degli uccisi della primavere
           del 1945 è costituita da militari, che condivisero la sorte in genere riservata ai prigionieri
           tedeschi sul fronte orientale negli ultimi mesi del conflitto. Conviene quidi considerare in
           maniera ravvicinata i singoli momenti in cui si verificarono le violenze di massa, per cercar
           di comprenderne a fondo le logiche e le interconnessioni.
              La prima crisi è quella del’autunno 1943 e presenta due fasi ben distinte: la presa del pote-
           re partigiana e la controffensiva tedesca. Entrambe produssero vittime purtroppo copiose: fra
           le 500 e le 700 persone vennero uccise dai partigiani, alcune migliaia dai tedeschi. Ma non è
           il dato quantitativo a risultare determinante nella valutazione dell’accaduto: più signifiativo
           è il fatto che le due ondate di violena colpirono in maniera asimmetrica i gruppi nazionali
           residenti sul territorio della Venezia Giulia. Ciò ha naturalmente generato percezioni diverse,
           che si sono poi consolidate nella memeoria ed hanno dato vita a narrazioni reciprocamente
           incomunicabili.
              la presa del potere partigiana è stata tradizionalmente presentata dalla storiografia jugo-
           slava prima, e slovena e croata poi, come un’insurrezione della popolazione slava soggetta
           agli italiani, secondo una formula in cui è piuttosto trasparente un duplice intento: in primo
           luogo, enfatizzare la partecipazione delle masse al processo politico, allo scopo di legittimare
           gli organi che se ne fecero espressione e le scelte politiche da loro compiute; in secondo luo-
           go, connotare gli eventi dell’autunno del 1943 come uno degli snodi fondamentali dell’epo-
           pea del risorgimento nazionale sloveno e croato realizzatosi con la guerra di liberazione.
              Alcuni storici italiani,per converso, hanno fatto notare come, più che di una insurrezione
           popolare, avvenuta peraltro senza alcun contrasto, si dovrebbe parlare della capacità del mo-
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