Page 27 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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PRIMA GUERRA MONDIALE 27
La preparazione dell’Italia
n Italia all’inizio del Novecento, la politica industriale degli armamenti si basava sulla
certezza che un eventuale conflitto avrebbe comportato la mera consumazione delle li-
I mitate scorte belliche, accantonate in tempo di pace. Si era persuasi che il movimento
strategico (e non i materiali) avrebbe risolto l’esito della contesa militare. Questa assoluta
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convinzione però iniziò ad incrinarsi, quando la guerra mondiale venne a definirsi come conflit-
to d’usura e non come rapida avanzata di un esercito nel territorio dell’avversario. Tali conside-
razioni furono ben ponderate dalle istituzioni militari italiane, che sin dal secondo semestre del
1914 indirizzarono la quasi totale produzione nazionale dell’acciaio verso le future commesse
belliche, per condividere un conflitto a cui era necessario un impegno industriale ed economico
non indifferente. 36
Malgrado queste valutazioni, quando l’Italia entrò in guerra nel maggio del 1915, i vertici
militari non avevano ancora chiara la necessità di produrre e distribuire dei materiali idonei alla
difesa stessa del corpo del soldato. Nonostante alcune pionieristiche analisi, i risultati furono
lungi da essere perseguiti. Erano state, sì, progettate corazze protettive, ma in fatto di coper-
tura della testa si era rimasti in sostanza ancora al concetto ottocentesco di difesa da fendenti
di sciabola. I limitati studi effettuati e i pochi manufatti realizzati rimanevano poi ad esclusivo
appannaggio di poche unità, in prevalenza corpi scelti, a cui affidare compiti pericolosi e te-
merari. Non si prevedeva ancora la necessità di un equipaggiamento essenziale e da distribuire
indistintamente a ciascun combattente.
Nonostante la descritta coeva esperienza francese, derivante da mesi di intensi combatti-
menti, ancora nell’autunno del 1915 nella Penisola non era stata sviluppata un’idea concreta,
su come risolvere il problema per il fante comune. Tuttavia non erano mancate le occasioni di
“pensare” una difesa della testa del soldato. Diversi inventori dedicarono il proprio ingegno,
anche sin troppo fantasioso (come vedremo in seguito), verso tipologie di elmi e caschi, fina-
lizzati proprio a tal fine.
Farina
I più noti, tra i modelli progettatati, sono quelli che portano il nome di Farina, che insieme
all’omonima corazza divennero nei primi mesi di guerra un simbolo di arditismo e di valore.
Dopo le prime settimane di completa impreparazione, i vertici militari si preoccuparono di
preservare l’incolumità dei militari più esposti, quelli impiegati nella rimozione di ostacoli o
nell’apertura di varchi prima di ogni attacco. In effetti il corredo ideato dall’ingegner Ferruccio
Farina fu impiegato come equipaggiamento delle squadre di guastatori, facenti parte le cosid-
dette Compagnie della morte. Dette unità scelte, formate da genieri e fanti, dedicate alla perlu-
strazione e alla bonifica dei reticolati lungo la terra di nessuno, con tagliafili e tubi di gelatina,
vennero costituite dal Comando Supremo già il 16 giugno 1915 con la circolare n. 496. Il cor-
redo proposto era una dotazione di reparto: veniva distribuita solo in occasione delle suddette
azioni e ritirata una volta completate.
35 M. Mazzetti, L’industria italiana nella Grande Guerra, USSME, Roma 1979, pp. 7-8.
36 Ibidem, pp. 8-25.

