Page 22 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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22 I 100 ANNI DELL’ELMETTO ITALIANO 1915 - 2015
mimetiche. Pertanto si studiarono varie soluzioni: dalla ricottura degli elmetti, per opacizzarli,
alla creazione di telini antiriflesso, costituiti di due pezze di stoffa (della stessa tonalità dell’u-
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niforme) cucite nel mezzo e legate alla base da un laccetto. Iniziarono poi svariate forme di
mimetizzazione, soprattutto artigianali direttamente in trincea, più o meno tollerate dagli alti
comandi.
Dopo i primi collaudi al poligono di Bourges, il modello definitivo fu pronto il 31 aprile
1915, mentre nel mese di luglio venne iniziata la distribuzione effettiva. Quando il 25 settem-
bre iniziò la controffensiva in Champagne, tutti gli attaccanti francesi coinvolti lo indossavano.
Ebbe subito un grande successo, non tanto per la protezione in sé, ma per la galvanizzante no-
vità feticistica di possederlo. Per spirito di emulazione tutti i reparti lo richiesero con insistenza
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ai comandi. Nonostante la produzione del casque apparisse semplice, servivano non meno di
sessantaquattro operazioni di lavorazione. Ciò comportò che, esaurita la capacità produttiva
degli arsenali nazionali, si iniziò a chiedere la partecipazione dell’industria privata. In sei mesi,
tempo necessario per realizzare anche gli appositi stampi, la produzione permise quindi di
consegnare circa 2 milioni di pezzi. A fine anno gli elmetti in lavorazione erano 11 milioni. Il
prezzo fu fissato a 3,35 franchi-oro, quando il costo di un kepi era di 3,85 franchi-oro. 32
Il modello Adrian non sarebbe stato esente da possibili critiche, visto che rimaneva comun-
que rudimentale, se l’obiettivo finale del manufatto era quello di salvaguardare in modo integra-
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le il capo del soldato. Il volto, le orecchie e la nuca erano completamente privi di protezione,
come pure nel complesso era insufficiente a resistere a colpi diretti o a frammenti carichi di
maggiore potenza. Centrato lateralmente, rischiava di perdere l’assemblaggio generale delle
falde; mentre altre volte il proiettile veniva deviato del tutto dalla forma arrotondata della calot-
ta. Fu vana la richiesta, espressa da molti medici e da diversi comandanti di corpo, di allungare
le visiere, specialmente quella posteriore, in modo da proteggere più efficacemente la fronte e la
nuca. Per di più se cadeva per terra da un metro di altezza si abbozzava. Molti critici maliziosi
fecero presente che dall’introduzione dell’elmetto metallico la percentuale delle ferite alla testa
era incredibilmente aumentata. Gli fu risposto che di sicuro senza l’elmetto l’elenco dei feriti
sarebbe stato molto minore, a scapito però di quello dei morti!
Nonostante tali persistenti limiti, per ovviare alcuni di questi inconvenienti sarebbero stati in
seguito introdotti alcuni accessori: la corazza frontale, il paraschegge Dunand e il paraorecchie/
guance Lippmann. Sempre di produzione francese, questi tre accessori non furono tuttavia sem-
pre funzionali. Durante tutta la guerra ne venne adottato un numero relativamente basso anche
presso le truppe italiane.
La corazza frontale era lo stampo di una sezione dell’Adrian, da sovrapporre sulla parte
anteriore dell’elmetto, facendovi entrare la visiera, e legandosi con alcune fettucce di canapa
nella parte posteriore. Aveva uno spessore di 4 mm, mentre il peso si aggirava intorno ai 2,5
kg. Pesante e scomoda, faceva perdere l’equilibrio in avanti in caso di repentini movimenti del
30 N. Bultrini, op. cit., pp. 52, 62.
31 AA.VV., Les casques de combat du monde entier de 1915 à nos jours, op. cit., p. 70.
32 Tra le ditte coinvolte, che si specializzarono su una o al massimo due taglie, delle tre in produzione, citiamo:
Ets Auguste Dupeyron, Compagnie des compteurs et matériels d’usines à gaz, Ets Japy, Jouet de Paris, Com-
pagnie coloniale, Société des phares Auteroche, Ets Reflex, Arsenaux de Brest et de Cherbourg. AA.VV., Les
casques de combat du monde entier de 1915 à nos jours, op. cit., p. 76; A. Spanghero, L’elmo della vittoria,
op. cit., n. 151, pp. 105, 109.
33 A. Saratti-S. Giusti, Elmetti, in «Diana Armi», anno VII (1973), n. 1, p. 90.

