Page 20 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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               Adrian in collaborazione con Luis Kuhn, capo dell’atelier meccanico delle officine Japy.  Tale
               copricapo nel volgere del secondo semestre del 1915 divenne un equipaggiamento da guerra
               indispensabile in trincea, quasi quanto i fucili o le baionette. Considerato all’epoca una vera e
               propria arma difensiva, riscosse un buon successo tra i combattenti e i vertici militari; anche tra
               quelli più reazionari (tipici degli ambienti francesi) verso introduzioni così innovative nel modo
               di vestire un soldato. La sufficiente robustezza permetteva di far schivare i proiettili obliqui,
               mentre la convessità della calotta deviava buona parte delle pallette degli shrapnel.
                  Furono sei le ditte appaltatrici incaricate di realizzarlo, distribuendolo per lotti secondo una
               scala di priorità: prima alla fanteria, poi al genio e infine all’artiglieria. Nel solo 1915 ne fu-
               rono realizzati oltre 3 milioni di pezzi. All’interno di questa produzione, ormai in scala, non
               fu da meno la cura dedicata alla realizzazione delle insegne d’arma o di specialità, che diven-
               nero elementi essenziali per identificare la truppa, una volta che in trincea il kepi fu relegato a
               equipaggiamento accessorio. Il più comune di questi fregi fu la granata a fiamma aperta della
               fanteria, mentre la quasi totalità dei modelli creati era caratterizzata dalle lettere sovrapposte
               RF, indicanti la forma repubblicana dello Stato francese.
                  La produzione industriale dell’Adrian partiva da un foglio circolare d’acciaio di 33 cm di
               diametro, spesso 0,7 mm, avente una resistenza minima di trazione pari a 43 kg per mm². Veni-
               va lavorato a freddo, perché qualsiasi riscaldamento ne avrebbe minato la resistenza. L’acciaio,
               della tipologia Martin, era pastoso e purissimo, senza la minima traccia di zolfo o di fosforo.
               La pressa di stampo era da 150 tonnellate e ciascuna di esse produceva fino a 5.000 calotte
               principali al giorno. Esse uscivano con un foro ellittico superiore di circa 5 cm e venivano
               ovalizzate, per meglio adattarsi alla testa. Si aggiungeva poi il crestino cupolare, che copriva la
               fessura d’aerazione, la visiera e il coprinuca, parti queste realizzate con i residui dei dischi ori-
               ginari. L’assemblaggio del crestino – sui due terzi posteriori della calotta – avveniva mediante
               quattro ribattini ortogonali, che lasciavano aperti due sfiatatoi laterali. Il coprinuca e la visiera,
               già montati tra loro, venivano prima assemblati dentro una nervatura, bombata all’esterno, che
               girava tutt’intorno alla base della calotta, e poi rinforzati con un punto di saldatura. Dopo il
               montaggio, la visiera era inclinata di circa 22º, mentre il coprinuca più corto lo era di 45°. La
               calotta era fornita anteriormente di due piccole fessure orizzontali per il fissaggio del citato
               fregio, sempre dello stesso colore della calotta. Il bordo delle falde era ripiegato esternamente,
               per evitare uno spigolo vivo tagliente.


                  Nella concavità della parte metallica, studiata per tre taglie (identificate con le lettere A, B, e
               C), veniva poi inserita l’imbottitura. Essa, a secondo delle dimensioni, creava a sua volta delle
               sottotaglie, rispettivamente 1, 2, 3: A dalla 54 alla 56 di girotesta, B dalla 57 alla 59, C dalla 60
               alla 62. La cuffia era costituita da un pezzo di cuoio di montone annerito, diviso in sette patte,
               alle cui sommità vi era un occhiello, all’interno del quale passava un laccio di circa 15 cm, che
               regolava l’ampiezza della cuffietta alla sua sommità. Per renderla più confortevole, essa poi era
               avvolta internamente da una striscia di panno, dalle diverse tonalità. La parte esterna dell’im-
               bottitura poggiava su quattro lamelle ondulate, a sua volta fermate alla calotta da otto linguette
               di alluminio ripiegate e saldate alla parte metallica. Questo articolato congegno garantiva una
               certa elasticità complessiva e la circolazione dell’aria una volta calzato in testa. Solo in un
               secondo momento la cuffia venne composta da spicchi di pelle cuciti a una banda avvolgente,
               parallela alle lamelle ondulate.



               29  N. Bultrini, op. cit., p. 50.
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