Page 42 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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                  A chiusura di paragrafo una nota necessaria, anticipando l’argomento seguente, va rivolta ad
               alcuni prototipi, che volevano sommare i risultati francesi con quelli degli Imperi centrali. Nac-
               quero così, tra il 1916 e il 1917, alcuni manufatti ibridi, composti da una calotta molto simile a
               quella tedesca-austriaca con le falde più vicine al tipo Berndorfer. Condiva il tutto una crestina
               quasi identica a quella dell’Adrian. Altra sperimentazione fu invece l’aggiunta al modello 16 di
               una protezione aggiuntiva rivettata all’esterno, per gli occhi e la fronte. Di questi studi ci sono
               pervenuti alcuni prototipi, ma come per le precedenti invenzioni, rimasero nell’alveo del possi-
               bile, lasciando campo libero al predominio dell’indiscusso Adrian. 58



                                       Adrian italiano (modello 15 e 15-16)      59


                  La prima relazione ufficiale della necessità anche per l’Italia di dotarsi di un copricapo metal-
               lico da combattimento fu un articolo della Rivista Militare Italiana. Nel numero del 16 dicem-
               bre 1915 venne pubblicato il breve (già citato) commento su come la Francia avesse affrontato
                                                                              60
               il problema della protezione della testa del combattente al fronte.  Un’altra testimonianza, più
               tarda e molto più divulgativa fu espressa invece dalla Domenica del Corriere, che presentò al
               grande pubblico l’ormai già diffuso elmetto Adrian in un articolo dei primi di agosto del 1916.
               Entrambi gli articoli, non senza una marcata retorica, enfatizzarono due principali argomenti, a
               rigore di logica contraddittori tra loro: la tradizione per il ritorno al combattimento medioevale,
               basato ancora sull’uso di bardature metalliche, e l’inevitabile progresso per una guerra, che
               stava proiettando il soldato verso un futuro tecnologico. 61
                  Tuttavia, molto prima di queste due rilevanti testimonianze, una prima distribuzione del
               modello Adrian francese era stata fatta anche in Italia a titolo d’esperimento. Va precisato che,
               nelle concitate fasi di adozione, esso non fu sottoposto a ulteriori prove balistiche,  convinti
                                                                                                62
               che il manufatto transalpino fosse quel che serviva per l’impervio scenario roccioso del Carso,
               dove gli effetti delle granate creavano delle fitte grandinate di detriti naturali, a dir poco letali.
                  Nel corso dell’autunno 1915, il Comando Supremo italiano aveva infatti deciso di iniziare a
               importare anche per il Regio Esercito il copricapo transalpino da trincea, per ragioni d’alleanza
               e d’urgenza. Non avendo a disposizione documenti, che evidenzino i contatti con il Governo di
               Parigi, possiamo registrare solamente che la prima ordinazione fu di 500.000 Adrian, in tutto
               identici a quelli in uso presso i poilus, sia nella colorazione azzurra, sia nel fregio a granata
               dell’infanterie. Altro elemento importante fu riguardo all’iniziale distribuzione, operata come
               dotazione di reparto e non come equipaggiamento individuale per ciascun combattente. Di ciò
               ne offre una preziosa testimonianza l’allora soldato semplice Benito Mussolini, che nel suo dia-
               rio di guerra così annotò al 15 ottobre: «Sono giunti gli elmetti per gli shrapnels. Sei per com-



               58  P. Marzetti, Soldati di ferro, op. cit., n. 151, p. 47.
               59  Con questa definizione nel presente volume si intende il modello prodotto in Francia per l’Italia o qui assem-
                   blato con parti francesi. E’ identico al modello 15, spesso anche nel colore, ma come principale caratteristica
                   riporta l’assenza delle fessure per il fregio. Si intende quindi modificare la classificazione adottata da Marzetti.
                   Quest’ultimo utilizza il termine «1915-16» infatti per la versione interamente prodotta in Italia dalla ditta Mo-
                   neta, che in questo volume verrà classificata invece come modello 16.
               60  L’elmetto della fanteria francese, op. cit., pp. 2522-2524.
               61  L’evoluzione del casco, in «La Domenica del Corriere», 30 luglio-6 agosto 1916, n. 31.
               62  N. Mantoan, op. cit., p. 49. Si veda pure A. Uberti, L’elmo italiano della Iª G.M., in «Militaria», n. 9, aprile
                   1994, pp. 35-39.
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