Page 202 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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202 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
del governo, è la loro più completa estraneità a qualunque tipo di crimine e il desiderio
pressante di tornare in Etiopia. Quando si parla di confino, è necessario distinguere i diversi
casi: per alcuni fu un’esperienza durissima, per altri, pur trattandosi sempre di una misura
restrittiva della libertà personale, fu un’esperienza tutto sommato accettabile .
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Con Amedeo di Savoia la situazione dei prigionieri nei campi o al confino era sensibil-
mente migliorata, e per i confinati in Italia il viceré si diceva disposto a riesaminare il loro
caso . Il condono voluto da Graziani, permise al duca d’Aosta di liberare 900 detenuti dal
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campo di Danane , ma ancora molto restava da fare. Altri provvedimenti di clemenza era-
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no possibili, ma con moderazione perché “inflazione significava svalutazione”, e il sistema
dei condoni avrebbe potuto nuovamente essere applicato in futuro, secondo le circostanze.
Non dobbiamo poi dimenticare che un passo molto importante fu compiuto con l’aboli-
zione dei tribunali di guerra , trasferendone le competenze ai tribunali ordinari, civili e
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militari.
Conclusioni
Non c’è dubbio che l’esperienza degli anni Venti del XX secolo in Libia fu un banco
di prova molto importante per il Regio Esercito italiano e che l’esperienza maturata venne
sfruttata quando tra il 1936 e il 1940 nel Corno d’Africa si trovò di nuovo a condurre una
campagna di controguerriglia. Gli ufficiali di tutti i gradi che avevano gestito le operazioni
in Tripolitania e in Cirenaica si ripresentarono con entusiasmo e con forti motivazioni
in Etiopia, dove si incontrano infatti gli stessi nomi. A questa élite fece però spesso da
contraltare una base mediocre di ufficiali, incapace di entrare in sintonia con le truppe
e tantomeno con la popolazione. Le operazioni in Etiopia non furono di facile gestione:
le prime azioni sporadiche di disturbo si ebbero quando la guerra vera e propria non era
ancora terminata e, per una serie di fattori, nel tempo si moltiplicarono, fino ad acquisire
nell’estate del 1937 le caratteristiche di una vera e propria rivolta con fulcro tra lo Scioa e
l’Amara. Ai gruppi ribelli organizzati si aggiunsero briganti e predoni che approfittavano
della situazione per depredare la popolazione. Anche per questo fu proprio la popolazione,
come già in Libia, a pagare lo scotto più alto: da una parte era presa di mira da guerriglieri
e malviventi, dall’altra era pressata dal Regio Esercito che, per ottenere le tanto agognate
sottomissioni, non esitò ad utilizzare qualunque mezzo. Se in Libia per sconfiggere il ne-
mico ci si era affidati soprattutto ai reparti regolari di fanteria (battaglioni libici, meharisti,
sahariani) e di cavalleria (savari e spahis), in Etiopia furono le bande regolari e irregolari ad
avere un ruolo di primo piano in virtù della loro mobilità, dell’aggressività e della resisten-
624 Lettera indirizzata al Podestà del 30 luglio 1937, Longobucco, ASMAI, II, posiz. 181/54, fascicolo
259.
625 Tel. n. 09519 del 19 marzo 1938, firmato Amedeo di Savoia, ASMAI, Gab. A.S., busta 275, fascicolo
439.
626 Tel. n. 8831 del 10 marzo 1938, firmato Amedeo di Savoia, Ibidem, fascicolo 418.
627 Tel. n. 08870 del 10 marzo 1938, firmato Amedeo di Savoia, Ibidem, fascicolo 418.
Capitolo seCondo