Page 198 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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prigionieri, tanto più se feriti, deve in modo assoluto essere vietato” . Quello stesso mese
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la Croce Rossa italiana chiese di poter comunicare alla Croce Rossa internazionale l’elenco
dei prigionieri etiopici, le località dove erano trattenuti e il trattamento loro riservato . In
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precedenza, inoltre, erano stati denunciati arresti compiuti da personale non autorizzato.
A impero da poco fondato, e in una situazione assai lontana dalla totale pacificazione, il
rapporto coi prigionieri di guerra non era cosa semplice. Si è già detto come le condizioni
ambientali e territoriali non permettessero, nella maggior parte dei casi, di “fare prigionieri”
da una parte come dall’altra, e in un primo momento, sotto il governo di Graziani, chiun-
que fosse stato catturato doveva essere passato per le armi. La ribellione non era accettata,
non poteva esserlo. Nel maggio del 1936 Graziani scriveva a questo proposito: “[...] coloro
che osassero compiere atti contro le nostre truppe sarebbero considerati ribelli et trattati
come tali, mentre garantivo immunità ai sottomessi, ho disposto che prigionieri catturati
fossero passati subito per le armi” .
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Anche Mussolini, un mese dopo, ordinava che tutti i ribelli catturati fossero passati per
le armi: “Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente politica
del terrore e dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici. Senza la legge del
taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma” .
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Il concetto veniva ribadito decisamente da Graziani nel marzo del 1937, dopo l’atten-
tato: le direttive del Duce andavano applicate senza esitazioni e i vertici delle forze armate
non potevano far altro che attenervisi. Sia i guerriglieri catturati in combattimento sia
quanti erano sospettati di appoggiarli, dovevano essere subito giustiziati, escludendo però
donne e bambini. Era fondamentale che ad eseguire gli ordini fossero i comandanti dei
reparti e non i singoli, il libero arbitrio non poteva infatti essere accettato in una questione
tanto controversa quanto delicata, e questo valeva in particolare per tutti coloro che “per
istintiva generosità di combattenti, sono portati at volte at transigere per comprensibili
sentimenti”. La durezza del comportamento del viceré era dovuta, oltre che da una naturale
predisposizione, anche al fatto che tra i dissidenti molti erano quelli che, dopo essersi sot-
tomessi e aver avuto salva la vita, erano tornati a imbracciare le armi, compiendo razzie ed
eccidi . Con l’arrivo di Amedeo d’Aosta, la situazione era migliorata con un netto cambio
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di rotta, come testimonia un telegramma del generale Martini citato dagli stessi etiopici
nell’atto ufficiale di denuncia dei crimini italiani presentato nel 1950 alle Nazioni Unite.
608 Tel. n. 2/272 del 15 febbraio 1936, AUSSME, Fondo D-5, busta 82.
609 Tel. n. 03309 del 25 febbraio 1936, AUSSME, Fondo D-5, busta 82.
610 Ministry of Justice, Documents on Italian War Crimes, cit., p. 35.
611 Tel. n. 8903 dell’8 luglio 1936 ASMAI, III, busta 5. Graziani era in proposito ancora più determi-
nato: “[...] Superata situazione attuale occorre senza misericordia alcuna distruggere tutto: paesi, uo-
mini, bestiame senza limitazione” (tel. n. 6114 del 9 luglio 1936, ASMAI, II, posiz.181/60, fascicolo
306). Sempre nell’archivio del Ministero degli Affari Esteri se ne trova un altro, indirizzato da Mus-
solini a Graziani, forse ancora più inquietante: “Constato con molto piacere che la macchina penetra-
tiva e repressiva est ormai in pieno movimento. Poiché è nelle mani sicure di V.E., tutti gli obiettivi
saranno raggiunti rapidamente e bene” (tel. n. 13082 del 25 ottobre 1936 ASMAI, III, busta 8).
612 Ministry of Justice, Documents on Italian War Crimes, op. cit., p. 41.
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