Page 197 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 197

Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940)  197

              I modi per riuscirvi erano molteplici. L’istruzione dei giovani era senz’altro fondamentale:
              gli adulti erano già formati, più difficili da plasmare, e a tale scopo di esempio ciò che si era
              fatto in Italia e si stava iniziando a fare in Libia. Oltre alle scuole si sarebbero dovuti creare
              istituti professionali in grado di formare i giovani e di permettere loro di poter scegliere una
              vita migliore. Solo per citare un esempio, la divisione “Cosseria” aveva costruito una scuola
              all’aperto per ragazzi indigeni a Mai Cannetà, e dopo un inizio stentato con una decina di
              alunni in tutto, si era passati molto presto a una sessantina, oltre a qualche adulto, e tutto
              ciò nonostante la mancanza di mezzi. L’idea di dare un’istruzione adeguata ai ragazzi, anda-
              va di pari passo con la volontà di creare nuovi posti di lavoro.
                 Bastava poco per migliorare la quotidianità: rendere più stabili i tucul utilizzando ma-
              teriali “occidentali” come la calce e l’intonaco invece dello sterco di vacca, dare ai villaggi
              una sorta di piano regolatore e delle strade, e alle località maggiori “ambulatorio, nettezza
              urbana, illuminazione, polizia”. L’attenzione verso le popolazioni sottomesse era un dato
              di fatto, come testimonia una comunicazione di servizio del generale di brigata Rodini,
              comandante militare dell’Eritrea, riguardante i danni provocati dalle bombe a mano ine-
              splose: “In diversi Presidi dell’Eritrea, indigeni, specie bambini, ignorando il pericolo al
              quale andavano incontro, hanno raccolto bombe a mano rimaste inesplose sul terreno o ne
              hanno determinato lo scoppio, che ha causato morti e feriti. Ogni comandante, nel rispet-
              tivo ambito, faccia eseguire negli alloggiamenti, campi famiglie compresi, o nelle adiacenze,
              specie ove siano state truppe in sosta – un accurato rastrellamento. A mezzo delle Autorità
              Civili, fare di nuovo dire alle popolazioni che non tocchino bombe a mano o altri ordigni
              del genere trovati sul terreno ed indichino alle Autorità Militari o Civili i punti dove li
              hanno trovati. Far capire ai militari dipendenti che il militare il quale getti o abbandoni sul
              terreno un ordigno esplosivo, e, trovandolo, non avvisi i superiori perchè sia distrutto, è, in
              potenza un assassino di innocenti, specie di fanciulli” .
                                                         606
                 Il 1937 mise il governo italiano di fronte a un serio problema: le continue razzie di
              guerriglieri e predoni, aggiunte alle azioni militari italiane, avevano messo a dura prova non
              solo la popolazione, ma anche il territorio. Le genti del Mored, del Marabetiè, del Mens ,
                                                                                    607
              tanto per citare un esempio conosciuto, non uscirono indenni dagli anni della guerriglia.
              Quando tornavano ai loro villaggi, al termine delle operazioni militari, trovavano spesso i
              campi devastati, e per molti la perdita del raccolto significava la morte per stenti.
                 Quando si parla di guerriglia e controguerriglia un aspetto interessante è quello del trat-
              tamento dei prigionieri. Anche in questo caso il problema è complesso, in quanto la guerra
              è fatta dagli uomini e questi non sempre si attengono agli ordini, giusti o sbagliati che
              siano. Se quindi numerose e motivate sono state le denunce della comunità internazionale,
              va anche detto che il Regio Esercito si comportò molto spesso in maniera tutt’altro che
              disonorevole. Nel febbraio del 1936 il generale Melchiade Gabba, capo di stato maggiore,
              a proposito del modo di condurre gli interrogatori scriveva che “ogni atto violento sopra i



              606 Tel. n. 3728 del 25 maggio 1937, AUSSME, Fondo D-6, DS 639.
              607 Tel. n. 2687 del 9 ottobre 1937, AUSSME, Fondo D-6, DS 70.
   192   193   194   195   196   197   198   199   200   201   202