Page 22 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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22 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
beni dei conventi e minacciava la stessa sopravvivenza del potere temporale del Papa.
Questa vera e propria guerra civile interessò quasi tutte le zone dell’entroterra bor-
bonico annesso al nuovo regno sabaudo, tuttavia il fenomeno fu del tutto assente nelle
regioni del meridione in cui esistevano condizioni economiche migliori come, ad esempio,
nelle aree urbane e industrializzate, nelle zone agricole più produttive e nell’ampia fascia
costiera del Mezzogiorno e della Sicilia. A dimostrazione di ciò, basta leggere la Relazione
parlamentare “Massari” del 1863: “[...] Nella provincia di Reggio Calabria difatti, dove la
condizione del contadino è migliore, non vi sono briganti” .
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Dopo la sconfitta subita nella battaglia del Volturno e dopo l’assedio di Gaeta, il partito
legittimista prese ad organizzarsi per tentare di cacciare l’invasore con il supporto dei Bor-
bone di Napoli, esuli a Roma, con quello dei Borbone di Spagna e di una parte del clero.
Nelle formazioni irregolari, chiamate dalla popolazione locale masse, affluirono migliaia
di uomini: ex soldati dell’esercito sconfitto e disciolto, coscritti che rifiutavano di servire
sotto la bandiera italiana, popolazione rurale, banditi di professione e briganti stagionali
che già si dedicavano alle grassazioni nei periodi nei quali non potevano trovare impiego
in agricoltura. Si registravano sollevazioni diffuse, seguite dal rovesciamento dei comitati
insurrezionali, sostituiti con municipalità legittimiste. A Napoli, l’ex-capitale travagliata
da una grave crisi economica, agiva la propaganda del comitato borbonico cittadino che
riuscì, perfino, a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia.
Nel mese di aprile, sventata una cospirazione anti-unitaria, furono arrestate oltre seicento
persone, fra cui 466 ufficiali e soldati del disciolto esercito borbonico. Nella primavera del
1861 la rivolta divampava ormai in tutto il Mezzogiorno continentale, assumendo spesso
le forme di estese jacquerie contadine con la materializzazione di un concreto rischio di
collegamento fra tutte le formazioni della rivolta, dalla Calabria alle province contigue allo
Stato pontificio, dove risiedeva il re deposto Francesco II, con un’azione più diffusa fra
Irpinia e Lucania: ciò condusse ad un incremento notevole sia delle forze impegnate dallo
Stato unitario per il contrasto dei fenomeni di opposizione, sia della ferocia con la quale la
repressione delle insorgenze fu attuata.
Per valutare storicamente le motivazioni che spinsero le popolazioni napoletane alla sol-
levazione e al brigantaggio, è necessario fare riferimento alle condizioni economico-sociali
del Mezzogiorno continentale, dove le bande di briganti costituivano da secoli il braccio
armato delle rivolte contadine contro feudatari e proprietari terrieri. Va anche considerato
che tale fenomeno si manifestava in un paese arretrato e depresso: si trattava, in fondo, di
un’espressione del malessere delle masse rurali e della crisi sociale imperante nel regno bor-
bonico . In occasione di movimenti rivoluzionari e di cambi di regime, l’attività di queste
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bande era stata sfruttata politicamente dai Borbone, per riprendere il potere. Così era stato
per la grande insurrezione sanfedista del 1799, per il brigantaggio del periodo francese e per
quello della restaurazione del 1820. Tuttavia, il brigantaggio politico non era una caratteri-
5 carlo alianello, La conquista del Sud, Milano, Rusconi, 1972, p. 247.
6 GiorGio candeloro, Storia dell’Italia Moderna, Vol. V, La costruzione dello Stato unitario 1860-1871,
Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 168-169.
Capitolo primo