Page 23 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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GuerriGlia e controGuerriGlia nell’italia meridionale. il Grande briGantaGGio post-unitario (1860-1870) 23
stica esclusiva delle regioni meridionali, in quanto praticato fin dai tempi della rivoluzione
francese in tutti gli Stati italiani e diffuso anche in Francia e in Inghilterra.
Nel regime borbonico i conflitti per l’occupazione delle terre demaniali rappresentarono
l’aspetto più significativo della partecipazione popolare, ma anche uno dei motivi che spin-
sero la borghesia verso gli istituti liberali; infatti, la struttura ideologica che animava la lotta
era costituita in prevalenza dall’aspirazione al possesso delle terre e dall’odio verso i nuovi
padroni ; si trattò in sostanza, soprattutto, di una rivolta sociale per riscattarsi dalla miseria .
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Con l’avvento della rivoluzione garibaldina e l’ascesa al potere delle forze liberali, l’avver-
sione delle classi popolari si riversò sui governi provvisori, ritenuti responsabili del collasso
economico. Contestualmente riaffiorarono anche antichi sentimenti di riconoscenza verso
la deposta monarchia che, in passato, aveva sempre cercato di tutelare gli interessi delle
classi più umili. A questa tradizione ricorse Francesco II, dal suo esilio romano, per tentare
la riconquista del regno, dopo esser partito da Gaeta con la certezza di un sollecito ritorno,
chiaramente indicato nel suo proclama alle truppe del 14 febbraio 1861. A Roma si costituì
un Comitato centrale per la riscossa e la restaurazione, presieduto dal conte di Trani e compo-
sto da dignitari di Corte, ex ministri, generali. Da lì partivano ordini e direttive ai comitati
provinciali che facevano capo ad un comitato segreto istituito a Napoli; sempre da Roma
muovevano gli agenti borbonici incaricati di prendere contatto con i comitati di provincia,
di coordinarne il lavoro, di fornire armi, denaro e materiale di propaganda. Attraverso questi
canali venivano diffusi nelle province opuscoli e stampati contenenti i proclami di Francesco
II e notizie su presunti interventi dell’Inghilterra, Russia, Francia e Austria a favore del depo-
sto sovrano. La costituzione dei comitati periferici era regolata da schemi ordinativi stabiliti
dal centro, poi convalidati con apposita bolla reale. Questi comitati avevano il compito di
arruolare il maggior numero di uomini atti a marciare, di eleggere i comandanti e nominare
gli ufficiali che ricevevano poi formale investitura con brevetto reale ed entravano a far parte
dell’Armata insurrezionale. In un primo tempo l’ex sovrano pensò di costituire, con le forze
militari rifugiatesi in territorio pontificio, un piccolo esercito per tentare una penetrazione
in profondità, combinata con uno sbarco sulle coste calabre.
La riorganizzazione di queste forze e l’approntamento di un piano, che avrebbe dovuto
svilupparsi con la contemporanea sollevazione delle popolazioni napoletane, furono affida-
ti al generale Statella. Si iniziarono i preparativi e si tentò qualche puntata offensiva, ma con
scarsi risultati, anche perché le truppe italiane che presidiavano le frontiere reagirono con
grande energia. I borbonici decisero allora di avvalersi dell’opera dei briganti.
Il brigantaggio divenne, dunque, una potente arma nelle mani della deposta dinastia
nel tentativo di rinnovare nel napoletano quel clima di rivolte e violenze che avevano scon-
volto il regno di Giuseppe Napoleone e di Gioachino Murat. Agenti presero contatto con i
più famosi capi briganti, i quali accolsero con entusiasmo la proposta dell’ex sovrano, accet-
tando solo formalmente di essere affiancati da ex ufficiali borbonici e legittimisti stranieri.
7 Cfr. p. G. FranzoSi, La Campagna contro il Brigantaggio meridionale post-unitario, in “Rivista Milita-
re”, Roma marzo-aprile 1976, p. 73.
8 Ibidem, p. 75.