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L’EROE SENZA NOME                                                        Il Milite Ignoto simbolo del sacrificio






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               Raffaele Paolucci (Roma, 1º giugno 1892 – Roma, 4 settembre 1958). Studente di medicina nel 1910 dell’università di Napoli, interruppe gli studi per
            svolgere il servizio militare come volontario nella 10^ compagnia di Sanità militare del Regio Esercito dal novembre 1913 al 30 novembre 1914. Richiamato
            in servizio il 4 gennaio 1915, ancora nell’Esercito, fu destinato a Langoris, non lontano da Cormons, presso un lazzaretto per colerosi, meritandosi una Me-
            daglia di Bronzo per i benemeriti della salute pubblica. Nominato ufficiale aspirante medico nel settembre 1915, tornato a Napoli, fu trattenuto in servizio
            e destinato all’ospedale Vittorio Emanuele II, laureandosi in medicina il 4 aprile 1916. Fu quindi promosso sottotenente e poi tenente medico di comple-
            mento, indi inviato nuovamente al fronte il 16 aprile e destinato all’8º reggimento Bersaglieri dislocato in Val Marzon e di qui a “Cima Undici” presso
            l’11^ compagnia del 38º battaglione. Trasferito su sua richiesta nella Regia Marina il 19 luglio 1916, fu inizialmente destinato all’ospedale militare marittimo
            di Piedigrotta, poi trasferito come medico della batteria del Forte San Felice di Chioggia ma, dopo l’esperienza di guerra vissuta in prima linea, dietro sua
            insistenza, venne imbarcato il 19 agosto 1917 sulla R.N. Emanuele Filiberto, di base a Malamocco, dove prese servizio in qualità di secondo medico di
            bordo. Sotto il comando in capo del Dipartimento e piazza marittima di Venezia partecipò alla realizzazione di mezzi speciali d’assalto, costituiti da torpedini
            chiamati mignatte che, insieme al suo ideatore e sviluppatore, il maggiore del Genio Navale Raffaele Rossetti, avrebbero guidato in prima persona nell’azione
            di Pola del 1º novembre 1918 terminata, dopo 7 ore in acqua, con l’affondamento della corazzata austriaca Viribus Unitis e della nave appoggio Wien. Fatti
            prigionieri, i due furono poi liberati il 5 novembre dal Corpo di occupazione italiano. Per tale azione furono entrambi decorati con la Medaglia d’Oro al
            Valor Militare e promossi per merito di guerra (Paolucci al grado di capitano medico). Il 14 novembre 1919 fu collocato in congedo e iscritto nel ruolo del
            complemento con il grado di tenente colonnello iniziando a frequentare così le strutture delle università di Napoli e di Siena, fin quando, nel 1920, fu no-
            minato assistente effettivo presso la clinica chirurgica dell’ateneo di Modena. Nel 1921, dietro insistenza di Giovanni Giolitti, Paolucci fu eletto deputato
            al Parlamento nella XXVI legislatura tra le file del Blocco Nazionale; venne riconfermato nel 1924, 1929 e 1934. Ricoprì anche la carica di Vicepresidente
            della Camera dei Deputati dal 15 novembre 1924. Conseguita la libera docenza in patologia chirurgica, nel 1925 ebbe l’incarico presso l’università di Bari
            per la medesima disciplina. Il 22 marzo 1928 sposa Margherita Pollio, figlia secondogenita del generale Alberto Pollio, già Capo di Stato Maggiore del-
            l’Esercito. Nel settembre 1935 venne richiamato alle armi e posto a disposizione del Ministero della Guerra, partecipando alla guerra d’Etiopia (1935-36).
            Il 18 giugno 1936, rientrato in Italia, ottenne la promozione a colonnello medico per meriti eccezionali, venendo congedato il 1º settembre dello stesso
            anno e infine promosso il 29 ottobre maggiore generale medico della riserva navale. Richiamato in servizio durante il Secondo Conflitto Mondiale, operò
            presso il Ministero della Marina fino all’8 settembre 1943; nel giugno 1944 riassunse l’incarico che mantenne fino al 4 agosto. Epurato da ogni incarico
            istituzionale e privato per breve tempo anche del diritto elettorale, con la nascita della Repubblica Italiana. Chirurgo del torace e dell’addome molto noto,
            eseguì più di trentamila interventi. Fu presidente della sezione italiana e vicepresidente mondiale del collegio internazionale dei chirurghi. Ricoprì la
            carica di ordinario di clinica chirurgica e di direttore della clinica chirurgica nell’Ateneo la Sapienza di Roma. Pubblicò un atlante di chirurgia operatoria
            che rifletteva il suo stile semplice e preciso. Riabilitato, fu eletto senatore della seconda legislatura il 7 giugno 1953 e di nuovo deputato nella terza legi-
            slatura, eletto nel giugno 1958, pochi mesi prima di morire, nelle liste del Partito Nazionale Monarchico, di cui fu anche presidente, Paolucci fu anche al
            capezzale di papa Pio XII, membro del collegio medico che lo ebbe in cura per il tumore allo stomaco di cui rimase vittima poco tempo dopo la sua
            scomparsa. Le sue spoglie riposano al Parco della Rimembranza, ad Orsogna, paese dell’Abruzzo in provincia di Chieti.
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               Aurelio Baruzzi (Lugo, 9 gennaio 1897 – Roma, 4 marzo 1985). Si diplomò ragioniere all’Istituto tecnico di Ravenna, trovando subito impiego in una
            banca locale. Nel febbraio 1915 si arruolò volontario nel Regio Esercito come allievo sergente del 41° reggimento Fanteria. Nel dicembre 1915, fu nominato
            sottotenente di complemento e assegnato al 28° reggimento Fanteria. Pochi giorni dopo, il 22 dicembre, ricevette una prima Medaglia di Bronzo al Valor
            Militare per il suo comportamento durante la seconda battaglia dell’Isonzo, nei combattimenti sui Monti Sabotino e Podgora. Nel corso della sesta battaglia
            dell’Isonzo si rese protagonista di eccezionali atti di valore, tra cui uno degli episodi più strabilianti della Grande Guerra. Durante tale offensiva, precedendo
            l’attacco del reggimento, il 6 agosto si lanciò all’assalto di una postazione d’artiglieria austriaca, alla testa di un piccolo reparto, riuscendo a neutralizzarla
            e catturando quattro lanciabombe e i militari addetti al tiro. L’indomani l’avanzata del suo reggimento verso Gorizia era bloccata da una forte postazione
            nemica dotata di mitragliatrici, insediatasi in una galleria ferroviaria della linea Lucinico-Gorizia e inattaccabile dall’artiglieria, lasciata a proteggere l’ar-
            retramento delle linee austriache. Ripetuti tentativi di attacco frontale erano falliti, con pesanti perdite umane per la fanteria italiana. Il sottotenente
            Baruzzi, forte del prestigio derivante dall’azione del giorno precedente, si offrì di guidare un nuovo assalto con una ventina di bombardieri a mano. L’idea
            era di riuscire a posizionarsi ai lati della galleria e trovarsi a distanza utile per lanciare all’interno delle bombe a mano incendiarie e fumogene di tipo
            “Thévenot”, in modo da consentire ai fanti di raggiungere l’obiettivo con il minor numero di perdite possibile. Ritenendo l’azione pressoché inattuabile,
            gli vennero concessi solo quattro uomini. Sentiti i quattro volontari, Baruzzi decise di tentare ugualmente. All’alba dell’8 agosto i cinque militari italiani
            lasciarono la trincea e, non visti, riuscirono a portarsi all’imbocco della galleria, presidiata dagli austriaci. Baruzzi li prese prigionieri e, sul momento,
            decise di cambiare completamente strategia: riuscì a convincerli di essere alla testa di un intero battaglione attestato nelle vicinanze e pronto all’assalto.
            Loro tramite, offrì la facoltà di resa al reparto austriaco, garantendo salva la vita ai prigionieri. Dopo breve trattativa le condizioni vennero accettate e fu
            così che Baruzzi e i suoi quattro bombardieri a mano scortarono verso le linee italiane la colonna di prigionieri austriaci, composta da duecento fanti e dai
            loro ufficiali, sotto gli sguardi increduli dei commilitoni. L’azione comportò la cattura di ingenti scorte di materiale bellico, oltre ad aprire la via di Gorizia.
            Assicurati i prigionieri alla custodia italiana, Baruzzi e i suoi uomini, imboccata la galleria, si diressero speditamente verso Gorizia che raggiunsero in
            giornata, attraversando a nuoto l’Isonzo. Arrivati a Gorizia, appena sgomberata dalle truppe austriache e semidistrutta dai bombardamenti, presero formal-
            mente possesso della città innalzando la Bandiera italiana sul pennone della stazione ferroviaria. Il forte valore simbolico dell’atto e le eclatanti imprese
            dei giorni precedenti valsero a Baruzzi la Medaglia d’Oro al Valor Militare, assegnata il 4 settembre 1916, motu proprio, dal re Vittorio Emanuele III. Per
            l’occasione venne organizzata una cerimonia in grande stile e la decorazione gli fu consegnata personalmente sul campo dal duca d’Aosta, davanti alle rap-
            presentanze schierate di tutti i reggimenti della 3^ Armata. Nell’ottobre successivo venne promosso tenente e nel 1917 entrò nei reparti d’Assalto del reg-
            gimento, partecipando a varie azioni, e nell’ottobre di quell’anno venne promosso capitano. Durante la battaglia del Solstizio, il 19 giugno 1918, venne



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