Page 202 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                 dove aveva lavorato per anni con operai italiani imparandone passabilmente la
                 lingua, ed era felice di poter parlare un po’ in libertà. “Fui sempre massimalista
                 e leniniano, ma il popolo non è ancora maturo per l’idea. Appena posso me la
                 svigno in America. Sono commissario di vettovagliamento, e precisamente alla
                 legna. Se avete dollari venite a trovarmi a Mosca vi farò avere quanta legna
                 vorrete” .
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                    Il viaggio procedette tranquillo per i due italiani, verso i quali persino i fu-
                 cilieri di marina mostrarono alla fine una cameratesca simpatia, di quel genere
                 che si stabilisce fra chi ha combattuto ed è stato invecchiato dalle stesse espe-
                 rienze. Di loro Ferraris ammette di avere un buon ricordo, salvo aggiungere,
                 quasi a giustificarsi: “E anche da loro ebbi qualche informazione utile agli scopi
                 che mi ero prefissi”.
                    Proprio poco prima di Mosca tuttavia, ecco capitare l’ennesimo tiro della
                 sorte. Proprio negli istanti precedenti la partenza da una stazione, una pattuglia
                 di guardie rosse ferma Ferraris per un controllo di documenti un istante prima
                 di risalire sul vagone.

                       - Come, sei capitano?
                       - Si, in servizio italiano.
                       - Io ti arresto. Da noi non ci sono più capitani!
                       - Ed io ti dico che in Italia ce ne sono ancora; e poi non è il tuo affare.
                       Leggi piuttosto fino in fondo. Vedi lì il visto della 5ª Armata?
                       - Basta! Seguimi e chiariremo l’affare!

                    Difficile ipotizzare che epilogo avrebbe avuto la faccenda se quattro marinai
                 non fossero balzati giù dal vagone già in movimento e, afferrato saldamente
                 l’italiano, non l’avessero caricato in corsa sul treno saltandoci poi a loro volta
                 inseguiti dalle grida delle guardie rosse, che però non osarono sparare sugli eroi
                 della Rivoluzione.
                    Sul vagone che filava a tutta velocità Ferraris, ringraziati i suoi imprevedibili
                 soccorritori -Karasciov tavarisci! Nicevò!- ripensò a quel che gli era appena
                 capitato, a tutta la sua avventura attraverso quel paese sterminato, e concluse fra
                 sé: “[…] Tutto il mondo anche nelle condizioni più tragiche è paese”.






                 337  Si potrà dubitare della verità di alcuni dei fatti riportati da Ferraris, e anche delle parole di certi
                    suoi interlocutori, ma discorsi non dissimili da questo potevano essere uditi dagli stranieri anche
                    negli ultimi tempi dell’Unione Sovietica.


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